Venerdì 5 Febbraio nella nostra sede dell’ALCRAS in Roma, via Aldo Manuzio 91, ho tenuto, per il ciclo di conferenze in tema di “approfondimenti sul cervello”, un discorsetto, conferenza sarebbe un termine troppo grande e che non mi si addice, su “Libero pensiero e morale – I doveri dell’Uomo”.
Naturalmente tutti i convenuti si saranno chiesto, pur senza manifestarlo per educazione e benevolenza nei miei riguardi, che nesso ci potesse mai essere, che relazione potrebbe ravvisarsi, tra gli approfondimenti sul cervello e libero pensiero e morale e ancor di più tra un discorso sulla neurologia sensu stricto e i “Doveri dell’Uomo” di Giuseppe Mazzini, ma ancora maggiormente, a che titolo uno psichiatra potesse arrogarsi il diritto di discettare su temi morali e sulla figura di Giuseppe Mazzini, non a fronte di meri interessi storici personali, ma inserendolo in un più ampio discorso sul cervello, fin lì tenuto a più riprese.
A dire il vero io stesso me lo sono chiesto e me lo chiedo tutt’ora, esercitando quel dovere del dubbio, specialmente con sé stesso, che per ogni libero pensatore, deve rappresentare un continuo ed imprescindibile dovere di metodo e di procedimento.
Nei mesi trascorsi, negli incontri precedenti abbiamo affrontato il tema del cervello e del Sistema nervoso in generale, sul piano anatomico, fisiologico, patologico, abbiamo parlato delle funzioni delle varie strutture cerebrali, di neurotrasmettitori, di Elettroencefalogramma, di TAC e Risonanza magnetica, di neuroni, di “neuroni specchio” alla base della empatia e della comprensione degli altri esseri, ma in una conferenza, certo la più difficile per me e impegnativa, dal titolo “Il cielo stellato sopra di me, la Legge morale entro di me”, ci siamo spinti, ci siamo avventurati a toccare il tema della morale, della legge morale, presente e tangibile negli esseri umani, non tutti purtroppo, e lo abbiamo fatto, pur titolando la conferenza con la sopracitata, famosa frase di Immanuel Kant, che Egli volle incisa sulla Sua pietra tombale, non sul piano filosofico e men che meno religioso, ma su quello più prosaico, più tecnico, certamente meno affascinante, ma non per questo meno vero e concreto, della Scienza, della Scienza positiva, della neurologia, dello studio del Sistema Nervoso, del nostro Sistema Nervoso, spingendoci ad ipotizzare che la cosiddetta “Legge morale”, non sia una pura e semplice acquisizione culturale, un portato dalla educazione che ciascuno di noi ha più o meno ricevuta, come molte correnti di pensiero, passate e presenti vorrebbero credere e farci credere, o addirittura e peggio a mio parere, della religione, quanto piuttosto un qualche cosa di insito in noi, di profondamente adeso e sotteso alla nostra umanità, di radicato nella nostra stessa complessità biologica, in fine di iscritto nel nostro stesso DNA cellulare.
Ma se è vero che, secondo il pensiero evoluzionistico di Darwin, le specie varie si sono evolute rispettose di un principio di selezione naturale, che ha “selezionato” e fatto vivere e sopravvivere, le mutazioni spontanee e casuali, che si sono dimostrate più favorevoli e più adatte alla sopravvivenza del portatore, allora, sempre che sia vero questo principio, dobbiamo concludere che una struttura morale, un insieme di leggi interiori che informano e regolano comportamenti morali è indiscutibilmente favorevole alla sopravvivenza della specie.
Attenzione, si badi bene, ho parlato di specie e non di singolo individuo, perché un comportamento morale può evidentemente tradursi in un sacrificio del singolo a favore della prosecuzione della specie, in senso lato.
Chi ha esperienza di animali conosce bene quanto questo concetto “morale” sia ben presente e diffuso anche tra loro e tanto più evidente e percepibile, quanto più è sviluppata la loro organizzazione sociale e naturalmente quanto è più sviluppata la complessità del loro Sistema Nervoso.
Nei mammiferi, dotati di un Sistema Nervoso, di un cervello, molto simile a quello dell’uomo, seppur meno sviluppato, per quanto riguarda la porzione più “nobile” e di più recente formazione, la corteccia cerebrale, questa presenza, per così dire, “morale” è indiscutibile e di facile immediata constatazione. Anzi, mi vorrei spingere addirittura oltre, affermando che in molti animali, paradossalmente è maggiormente rappresentata rispetto a numerosissimi esponenti della specie umana.
Esula dalle nostre competenze e dai limiti spaziali che mi sono autoimposto per questo articolo, la enumerazione di esempi e di casi specifici a conferma di quanto affermo, ma che sono comunque disponibili alla memoria e alla conoscenza di ogniuno di noi.
Ecco quindi corroborata e attualizzata, su un piano scientifico, la presenza, nella nostra storia e nella nostra cultura, di coloro i quali hanno fatto di un discorso morale, la loro ragione di vita, la loro missione, la prova tangibile del loro contributo al lento, inesorabile, difficile, impervio, periglioso cammino della Umanità verso un progresso ed un miglioramento di se stessa.
Consapevole di fare un torto a moltissimi, il mio pensiero vola a Socrate, a Platone, a Seneca, a Boezio, a Lutero, a Giordano Bruno, a Kant, a Cesare Beccaria, a Gandhi, a Voltaire, ai nostri De Amicis e Lorenzini, alias Collodi, a Kipling.
Volutamente e consapevolmente non ho citato in questa schiera Gesù Cristo, perché in Lui e nei suoi successori, il principio morale è conseguenza di un sentimento religioso e di fede, che esula e non appartiene al nostro discorso, anzi io sostengo, e mi assumo tutta intera la responsabilità di quanto dico, che il sentimento morale è e deve essere, laicamente distinto e separato da un sentimento religioso.
In questa schiera di nobili, campeggia, almeno per me, primus inter pares, Giuseppe Mazzini, il mio ideale di Uomo, al Quale debbo il merito di avermi illuminato la strada, nel momento in cui era più buia e difficile, nel momento di maggior smarrimento, in una adolescenza tormentata alla ricerca di una guida e di un mentore.
Quella stessa strada ancora molto spesso si oscura, si perde, si nasconde, si rende insicura e confusa, si presenta irta di dubbi e incertezze, di insidie e trabocchetti, ma sempre ancora, anche in età matura viene rischiarata ed illuminata dal Suo pensiero e dal Suo esempio.
Mi piacerebbe che ciò che è stato di così grande, indispensabile, immenso, indiscutibile aiuto per me, lo possa essere anche per gli altri, per tutti coloro i quali sentono e temono che la loro vita non abbia un senso, una direzione, un afflato, un ideale e si perdono, senza saperlo, nelle mille insidie e nei facilissimi inganni che la vita ogni giorno ci offre e ci presenta.
Spesso, ahimè, si pensa a Giuseppe Mazzini, come ad un personaggio storico, lugubre, ascetico, poco pratico, sempre vestito di nero, artefice assieme ad altri del nostro Risorgimento e della nostra Unità d’Italia. Tutto ciò è senza dubbio vero, ma si farebbe un torto enorme alla Sua memoria e al Suo significato, se Lo si relegasse nei libri di Storia, nel capitolo Risorgimento.
La Sua presenza, la Sua importanza, la Sua indispensabilità, nel cammino della Umanità, va ben oltre, travalica ampiamente quanto, seppur vero, poc’anzi detto.
Giuseppe Mazzini è presente e vivo tra noi, ogni qual volta si pronuncia la parola “Dovere”, ogni qual volta questa magica parola, che spaventa e terrorizza per la sua enorme responsabilità, viene pronunciata da chiunque, grande o piccolo, adulto o bambino, importante o poco importante, ma tutti siamo, in fine, importanti comunque, ogni qual volta nella nostra coscienza, in silenzio, o a gran voce, sorge spontanea e imperiosa la domanda: “Quale è il mio dovere?”. E spesso stentiamo a dare una risposta.
In un film di molti anni addietro il protagonista dice:”La gente pensa che sia difficile fare ciò che è giusto. Non è difficile fare quello che è giusto. Difficile è sapere, cosa è giusto fare. Quando si sa, cosa è giusto, è difficile non farlo”.
In questo, proprio in questo, consiste la grandissima attualità di Giuseppe Mazzini.
Egli non ci rivela, non ci comunica, non ci impone cosa sia giusto.
Egli ci insegna a ragionare su cosa sia giusto, ci insegna a sentire cosa sia giusto, ci suggerisce di trovare, col nostro libero pensiero, cosa sia giusto, in totale autonomia e nella solitudine di noi stessi.
Ci consegna intera la responsabilità della risposta a questa domanda, a questo interrogativo.
Forse non aveva letto le opere di Giuseppe Mazzini, forse non le conosceva neppure, ma certamente aveva compreso, aveva deciso entro di sé, cosa fosse giusto, Salvo D’Acquisto e con Lui tutti coloro i quali, postisi l’interrogativo di quale fosse il proprio dovere, lo hanno compiuto.
In una società quale quella attuale, in cui i principi di riferimento, gli ideali, sembrano, sono persi, in cui ogniuno persegue il proprio bene materiale, incurante degli altri e dei propri doveri, in cui siamo accecati dalla sete di guadagno a tutti i costi, suona quasi anacronistico, ma indispensabile il motto di Giuseppe Mazzini ne “I doveri dell’uomo”:
“Ciascuno può legittimamente reclamare i propri diritti, solo nel momento in cui sia assolutamente sicuro di aver compiuto i propri doveri”.
E voglio chiudere questo discorso con il ricordo commosso di un Fratello, non più con noi fisicamente, ma sempre presente in noi con il Suo esempio e il Suo insegnamento, Italo Libri.
L’ultima volta che Lo vidi vivo, tre giorni prima che morisse, congedandosi da me mi disse:
“Vedi Fratello, il tumore mi ha impedito di fare ciò che mi piace, ma non è riuscito ad impedirmi di fare ciò che devo”.
Domenico Mazzullo
d.mazzullo@tiscali.it