Qual è lo scopo al quale
tutti ci affatichiamo?
Riunire l’Italia in corpo di nazione.
Che cos’è più facile riunire,
città e provincie divise,
o volontà e cuori divisi?
Specialmente in Italia,
credo molto più difficile
il secondo del primo.
Massimo d’Azeglio
3 Dicembre 1864
Il 17 Marzo di questo anno, 2011, come da tempo ci viene detto e ovunque ricordato, si festeggia il 150° Anniversario dell’Unità d’Italia, nata come regno e divenuta poi repubblica.
Innegabili ed indimenticabili verità ed evidenze anagrafiche mi permettono di ricordare, avendolo vissuto personalmente, un altro anniversario, quello del 1961, anniversario dei primi cento anni dell’Unità di Italia.
Noi viviamo la nostra vita, quasi sempre proiettati in avanti, guardando in un’unica direzione appunto, quella verso la quale scorre il tempo naturalmente ed ineluttabilmente, preoccupati ed ansiosi di quanto ci riserberà il futuro e, se siamo prudenti e previdenti, tesi ed occupati a prevederlo e prevenirlo, forse anche giustamente e spontaneamente.
Solo ogni tanto, ricorrenze, date fisse, anniversari, commemorazioni, ci fanno volgere il capo indietro, a rimirare il nostro passato con sentimenti molteplici e spesso contrastanti, comunque individuali e propri di ciascuno di noi.
Tali ricorrenze, tali date da ricordare, possono essere, infatti, e per lo più, personali, compleanni, nascite, ma anche morti, matrimoni, lauree, esami di Maturità, fidanzamenti, rotture di questi, giuramenti, inizio di attività, oppure alternativamente collettivi, Natali, Pasque, Festività varie, Estati di vacanze, ma anche guerre, paci, rivoluzioni, battaglie, scoperte scientifiche e naturali, trattati, concordati, eventi disastrosi, o anche felici, che hanno segnato indelebilmente e definitivamente il cammino della Umanità, che hanno costituito delle tappe importanti per settori più o meno ampi della popolazione della nostra Terra, che hanno rappresentato delle pietre miliari della nostra storia.
E allora le ricorrenze, le commemorazioni, gli anniversari, i riti, giungono a ricordarci opportunamente queste date, permettendoci di rivivere, nella nostra memoria individuale, se a quegli eventi abbiamo partecipato, o storica, se sono troppo lontani nel tempo, quegli eventi, quegli accadimenti che hanno fatto la Storia, che è opportuno ricordare e non dimenticare, che è necessario rievocare e commemorare, con gioia se sono stati felici, con dolore se sono stati tristi, per fissarli bene nella nostra mente, per riscriverli ogni volta nelle pagine della nostra memoria, troppo facilmente labile e tendente, o vogliosa di dimenticare, tesa, desiderosa, interessata al presente, al passato immediato, al futuro.
L’oblio è, ahimè, una tendenza spontanea del nostro animo, ma che in alcune circostanze deve essere attivamente contrastata.
Ma torniamo alla nostra ricorrenza, al nostro anniversario dei 150 anni della Unità d’Italia.
Per i motivi suddetti, questa ricorrenza collettiva è divenuta per me anche una ricorrenza individuale, avendo vissuto, 50 anni fa, quella analoga, per il centenario dell’Unità.
La ricordo perfettamente. Avevo 11 anni, 12 non ancora compiuti, essendo di Giugno del 1949.
Essendo dotato, fin da allora di una spiccata capacità spontanea e del tutto naturale di osservazione e di memorizzazione, soprattutto dei particolari, in quasi tutti i sensi, visivi, uditivi e tattili, un po’ meno quelli olfattivi e gustativi, ma in questo caso meno importanti e pregnanti, ho ben fisso nella mia mente, ho ben chiaro nella mia memoria il clima e l’atmosfera di quella ricorrenza e mi vien facile rievocarlo e rammentarlo, con nostalgia, sinceramente, e con rimpianto, non perché quelli di allora fossero per me personalmente tempi felici, al contrario, ma piuttosto perché mi viene naturale confrontarlo e paragonarlo con quello attuale, personalmente e psicologicamente certo migliore, ma non certo migliore, a mio modesto parere, per come viene vissuta la stessa ricorrenza e il significato ad essa connesso.
Io ricordo, di allora, un clima di festosità diffuso e comune a tutti, analogo per intenderci, ai giorni che precedono il Natale, quando le persone che si conoscono, accanto ai saluti, si scambiano sorridendo gli auguri e le felicitazioni.
Ricordo gli stessi sorrisi, lo stesso clima di febbrile attesa, la stessa ansia positiva che si palpava con mano e che si accresceva, via via che la data fatidica si avvicinava sul calendario.
Ricordo che i professori di scuola, frequentavo allora la prima media, non ancora scuola dell’obbligo, ci parlavano, qualunque fosse la materia da loro insegnata, della ricorrenza e di come ci saremmo dovuti preparare a questa, della sua importanza, del suo significato profondo e importantissimo per tutti noi italiani.
In tutte le scuole venne distribuito un libro, opuscolo sarebbe un termine riduttivo, con la foderina bianca e su questa stampata una coccarda tricolore, contenente ed illustrativo di tutta la storia, delle tappe importanti e principali del nostro Risorgimento, culminante con la proclamazione del Regno di Italia, finalmente una Italia libera ed unita, sogno di tantissimi che per Lei avevano donato la vita e patito atroci sofferenze.
A proposito di coccarde tricolori, ricordo con commozione ed emozione mia madre, maestra di scuola elementare, una maestra che richiamava per i modi e l’aspetto “La maestra dalla penna rossa” del libro “Cuore” di De Amicis, intenta, sul tavolo della cucina, a confezionare, la sera, col nastro tricolore, le coccarde tricolori da appuntare sui grembiali blu dei suoi alunni, perché seppur piccini, si rendessero conto del momento che si stava vivendo e del quale anche loro erano partecipi.
Sempre per rimanere in tema di scuola, nella mia, ma certamente anche nelle altre, si organizzavano recite “patriottiche” a scopo didattico e per la gioia dei familiari chiamati ad intervenire.
Alla mia classe venne affidato il compito di recitare “La presa di Porta Pia il XX Settembre 1870” e conservo ancora, tra i miei ricordi più cari, il cappello piumato da Bersagliere che indossai in quella circostanza, così come rammento ancora perfettamente a memoria i versi dell’Inno dei Bersaglieri che cantammo, a passo di corsa, nella rappresentazione, suscitando l’entusiasmo travolgente della platea.
E’ superfluo sottolineare che ogniuno di noi ragazzi conosceva perfettamente ed integralmente i versi dell’Inno di Italia di Goffredo Mameli, Che tutti insieme intonammo all’inizio ed alla fine della rappresentazione.
Ancora oggi, a distanza di tanti anni, corrono nella mia schiena gli stessi brividi infantili e provo lo stesso groppo di commozione e di emozione, che provai allora per la prima volta, quando ora adulto Lo ascolto o Lo canto e sono felice e orgoglioso di provarli ancora.
In quell’anno, noi bambini mettemmo da parte gli eroi tradizionali della nostra infanzia, Tex, Capitan Miky, Mandrake, Nembo Kid, l’Uomo Mascherato, Batman, Ivanhoe, i vari Sceriffi e Cow Boys del nostro immaginario collettivo e gli eroi divennero Giuseppe Garibaldi, Goffredo Mameli, Luciano Manara, Nino Bixio, Ciro Menotti, Amatore Sciesa, Targhini e Montanari, i Fratelli Bandiera, i Trecento di Carlo Pisacane, i fratelli Cairoli, gli studenti di Curtatone e Montanara, le Camicie Rosse, I Cacciatori delle Alpi, mentre i cattivi e i reietti erano rappresentati dai Borboni e dagli Austriaci oppressori con in testa l’Imperatore Francesco Giuseppe e il Feldmaresciallo Radetzky.
Conservo religiosamente il numero 1 della “Domenica del Corriere”, sempre presente in casa mia, del 1 Gennaio 1961.
Sulla prima pagina, il pittore Walter Molino rappresentava, sullo sfondo di una bandiera tricolore, il nostro tricolore, mosso dal vento, le effigi dei quattro Padri della Patria, Garibaldi, Vittorio Emanuele, Cavour e Mazzini, a vegliare sul nostro paese.
Ricordo che già da allora nutrivo alcune perplessità su questa immagine, avendo studiato che Giuseppe Mazzini, visse la maggior parte della Sua vita da esule all’estero e su di Lui pendeva una condanna a morte.
Già qualcosa non mi tornava, ma mi faceva più piacere credere in una precisa ed identica comunanza di intenti e di ideali.
La televisione, rigorosamente in bianco e nero, trasmetteva, a puntate uno spettacolo musicale teatrale, “Enrico 61” in cui Renato Rascel recitava la parte di un centenario, la cui vita e i cui ricordi accompagnavano parallelamente, la vita della nostra Italia, dalla nascita ai Suoi primi cento anni, in tutte le Sue tappe più importanti e salienti, gioiose, ma anche dolorose.
Mi si perdoni questo indulgere a ricordi personali, che riaffiorano inaspettatamente e imprevedibilmente da una memoria lontana, ma a parte il piacere di riscoprire e rievocare un passato che mi appartiene, credo esso possa essere utile a rappresentare il clima esistente in quei tempi, seppur filtrato attraverso gli occhi di un bambino, che però si rendeva già conto di vivere un momento importante ed entusiasmante.
A distanza di cinquanta anni cosa è rimasto di quel clima e di quell’entusiasmo che così bene ricordo e che così coinvolgente e contagioso appariva per tutti?
La domanda è retorica e la risposta è scontata: vorrei dire tutto, ma un principio di realtà mi obbliga a costatare e affermare che, al contrario, è rimasto ben poco, purtroppo.
E non credo che la risposta negativa sia esclusivamente da attribuirsi al fatto che quel bambino il quale nel ’61 viveva con occhi incantati ed entusiasti il primo centenario dell’Unità di Italia, sia diventato un sessantenne che con occhi disincantati si appresta a festeggiare i primi 150 anni della sua Patria, ché anzi, se possibile, l’entusiasmo e la passione personale si è, con gli anni maturata e ancora accresciuta, quanto piuttosto ad una, ahimè, constatazione oggettiva, di un mutato clima storico, politico, culturale e di costume in una Italia che ha solamente cinquanta anni in più sulle spalle.
Cosa mi induce maggiormente a questa amara e deludente constatazione? In cosa ravviso maggiormente e più esplicitamente tale cambiamento?
La risposta potrebbe essere molto lunga e complessa essendo molteplici gli aspetti obbiettivi e reali che mi costringono a questo parere pessimistico e negativo, ma uno soprattutto campeggia e domina sugli altri e paradossalmente esso non si riferisce a fatti oggettivi, visibili e tangibili, ma è rappresentato da una sensazione personale, da una percezione soggettiva, e come tale non trasmissibile, ma estremamente intensa e pregnante ed è costituita questa, dal clima che si respira oggi, così differente, così sostanzialmente diverso e dissimile da quello respirato da me bambino cinquanta anni fa.
Sembra quasi, e lo dico con profondo dolore e dispiacere, che gli italiani subiscano questa ricorrenza, piuttosto che agirla in prima persona.
Sembra quasi che gli italiani, se non fosse per la inattesa festività, con difficoltà e dopo mille incertezze concordata e proclamata, e solo per questo anno, farebbero quasi a meno di questa festa, che ricorda un evento ormai lontano nel tempo, dimenticato quasi e sbiadito, come se ancora si festeggiasse e commemorasse la battaglia di Canne o la battaglia navale di Lepanto.
D’altra parte non è stata destituita dal ruolo di festa nazionale la data del 4 Novembre, anniversario della Vittoria? E non è altrettanto vero che il XX Settembre, anniversario della Breccia di Porta Pia e della liberazione di Roma dal potere temporale del Papa, non lo è mai stata? E non è forse in quella data che l’Italia è diventata finalmente libera ed unita?
Mi convince e mi “conforta” in questa amara affermazione un dato emblematico, una costatazione evidente e sotto gli occhi di tutti, ma non priva di significato: il bombardamento mediatico ad opera di giornali, radio e televisione per rammentarci e ricordarci che il 17 di Marzo si festeggia il 150° anniversario dell’Unità d’Italia.
Mi infastidiscono e mi annoiano i toni retorici e visibilmente falsi e di maniera, roboanti e vuoti di significati, con i quali i nostri politici si esprimono a proposito di una ricorrenza alla quale, è evidente, non credono e non sentono intimamente.
Mi sconcerta e mi indigna la leggerezza e la superficialità con la quale il ruolo fondamentale di Giuseppe Mazzini sia stato dimenticato e trascurato. Volutamente?
Si è giunti invece a scomodare anche Sanremo e il nume tutelare Roberto Benigni, con tanto di cavallo bianco e Tricolore in mano, per ricordarci con i suoi lazzi e frizzi che dobbiamo festeggiare questa data, producendosi questi perfino in una, a sua detta, esegesi dell’Inno d’Italia di Goffredo Mameli.
Ma una festa veramente sentita e provata come propria, non dovrebbe venir festeggiata spontaneamente e naturalmente e non dietro esortazioni e raccomandazioni?
Non dovrebbe sorgere come esigenza spontanea ed irresistibile in ogniuno di noi che ci sentiamo italiani?
Non dovrebbe spingerci, come quando l’Italia ha vinto i Mondiali di calcio, a scendere esultanti in istrada (io no) sventolando il Tricolore e riempiendo le piazze e le strade di gente festante?
Quanta abissale distanza dal clima che io stesso ho respirato nel 1961, solo cinquanta anni fa.
Cinquanta anni, tanto nella vita di un uomo, pochissimo nella vita di una nazione eppure quanto è cambiata l’Italia e il mondo intero in questi ultimi soli cinquanta anni.
Nel 1961 l’Italia, mentre festeggiava il centenario della Sua Unità, risentiva ancora della emozione e degli echi suscitati dalle Olimpiadi ospitate, l’anno precedente, a Roma, il giovedì sera rimaneva incollata davanti alla TV per “Lascia o Raddoppia”, noi bambini dopo Carosello andavamo a letto, la Lambretta contendeva alla Vespa i favori degli italiani che si motorizzavano e non potevano permettersi le quattro ruote della mitica 600, ancora non interessati e non colpiti dal boom economico che sarebbe venuto di lì a poco.
Nel mondo, nello stesso anno si celebrava in Israele il processo ad Adolf Eichmann, l’Unione Sovietica il 12 Aprile, precedendo gli Stati Uniti, lanciava il primo uomo nello spazio, Yuri Gagarin a bordo della navicella Vostok 1, il 17 Aprile le truppe di Fidel Castro sconfiggevano le forze antigovernative alla Baia dei Porci e….il 13 Agosto veniva eretto il Muro di Berlino che divideva in due la città e l’Europa.
Ma poi, l’anno seguente morì Marilyn Monroe e John Kennedy affrontò la crisi dei missili sovietici a Cuba.
Intanto l’Italia si andava alfabetizzando grazie alla televisione e al Maestro Alberto Manzi con il Suo “Non è mai troppo tardi”, mitica e fortunatissima trasmissione che realizzava finalmente il sogno di Giuseppe Mazzini e di Edmondo De Amicis: L’Unità d’Italia attraverso la cultura.
Vennero poi “il sogno” di Martin Luther King, l’assassinio di John Kennedy a Dallas, i Beatles ed il Vietnam, la Guerra dei sei giorni e la morte di Che Guevara, la Primavera di Praga e il primo passo dell’uomo sulla luna, gli anni di piombo, le Brigate rosse, la strage di Piazza Fontana, l’omicidio di Aldo Moro, la strage di Bologna, Chernobyl, il crollo del Muro di Berlino e la fine dell’URSS, l’assassinio del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, la strage di Capaci con la morte di Falcone e Borsellino, tangentopoli e mani pulite, l’11 Settembre, la fine della Lira, i nostri Soldati caduti in Afghanistan.
L’Italia e il mondo cambiarono aspetto e noi festeggiamo i 150 anni della Unità d’Italia.
Per i precedentemente detti motivi anagrafici non vedrò probabilmente, tra altri cinquanta anni il bicentenario dell’Unità d’Italia, ma se di questo tipo è il procedere degli eventi che ci riguardano, egoisticamente non provo rammarico.
Domenico Mazzullo