Fisiognomica

Fisiognomica

Iolanda:

 Che hai, paggio Fernando? Non giuochi e non favelli

Fernando:

Io?…Ti guardo negli occhi che sono tanto belli

Iolanda:

Oh! Il duca!…In fede mia,

E’ sarà stato un forte, padre, ma bello, via!

Renato:

L’animo generoso ogni bellezza avanza.

Iolanda:

Sì ma non veggo l’animo e veggo la sembianza.

Se io mi fossi quale voi dite ch’io non sono,

Avessi pure il cuore divinamente buono,

Non troverei nessuno di virtù così sante

Da sceverar dall’animo la causa del sembiante.

La bellezza è l’impresa che i nostri sguardi arresta

Si cerca poi se al motto corrispondan le gesta.

Da “Una partita a scacchi “ di Giuseppe Giocosa 1873

Quel famoso Apronio che è spaventosa voragine, gorgo di ogni vizio e bruttura, come lui stesso “significa” non solo con la propria vita, ma anche con il corpo e la faccia.

Da “Orazione contro Verre”  Cicerone

Sono gli occhi veramente fra le nobilissime parti di tutto il corpo umano le principalissime, perché i principali segni della Fisionomia si traeno dalli occhi. E’ stato detto da’ più savi filosofi che, come il volto è l’immagine dell’anima, così gli occhi son l’immagine del volto.

Da “De Humana Physiognomonia (1586) di Giovan Battista della Porta.

“La fisiognomica è un mezzo essenziale per la conoscenza degli uomini, e il viso di un individuo dice cose più interessanti di quelle che dice la bocca”

Schopenhauer (1785-1860)

“Non si trattò di una semplice idea, ma di una rivelazione. Alla vista di quel cranio, mi sembrò di vedere all’improvviso, illuminato come una grande pianura sotto un cielo infuocato, il problema della natura criminale: un essere atavistico che riproduce nella propria persona i feroci istinti dell’umanità primitiva e degli animali inferiori”

Da “L’uomo delinquente” di Cesare Lombroso

Leggo dentro i tuoi occhi

da quante volte vivi

dal taglio della bocca

se sei disposto all’odio o all’indulgenza

nel tratto del tuo naso

se sei orgoglioso fiero oppure vile

i drammi del tuo cuore

li leggo nelle mani

nelle loro falangi

dispendio o tirchieria.

Da “Fisiognomica” di Franco Battiato

Qualunque Enciclopedia, antica o moderna, alla voce “Fisiognomica” recita, con pedissequa eguaglianza, che la Fisiognomica è una disciplina “pseudoscientifica” che pretende di dedurre i caratteri psicologici e morali di una persona, dal suo aspetto fisico, soprattutto dai lineamenti e dalle espressioni del volto. Il termine deriva dalle parole greche physys (natura) e gnosis (conoscenza).

Per chi, come me, è un cultore molto interessato di tale disciplina, l’aggettivo “pseudoscientifica” ad essa attribuito, suona immediatamente offensivo, non onorevole e ingiusto, ma quando, superato l’immediato sdegno, rifletto a mente fredda, devo ammettere ahimè che esso risulta appropriato e corretto. Se pensiamo, infatti, al concetto di Scienza come sono la Fisica, la Chimica, la Biologia, la Medicina stessa, che procedono per esperimenti e sono soggette all’onere della prova, allora effettivamente la Fisiognomica non può essere assimilata a queste.

Se, infatti, è vero che la Medicina in sé è una scienza, ma curare i pazienti è un’arte, per lo stesso motivo posso affermare che dedurre i caratteri psicologici e morali di una persona dal suo aspetto fisico, si avvicina molto di più all’arte che ad una scienza esatta che ha bisogno di rigidi parametri e regole matematiche.

Ma in fondo siamo tutti un poco artisti, in questa accezione, alcuni di più, alcuni meno, altri, sfortunati, per nulla, se è vero che ognuno, nel suo piccolo, istintivamente e non razionalmente e con una precisa volontà, cerca di discernere nell’altro, sconosciuto, al primo impatto, dai caratteri del volto soprattutto, le sue intenzioni verso di noi, amichevoli, indifferenti, o addirittura ostili.

E questa è stata una necessità da sempre, da che esiste l’uomo sulla faccia della terra, necessità ripeto indispensabile per la sopravvivenza dei singoli e della specie. Lo stesso avviene in forma certo più rudimentale ed assolutamente istintiva negli animali tra loro e nei confronti dell’uomo.

Chi ha la fortuna di possedere un cane, ad esempio, ben sa come questo compagno riesca sempre ad interpretare il nostro stato d’animo, da segni impercettibili che evidentemente emaniamo e vengono captati dalla canina sensibilità. Altrettanto noi, solo che siamo un poco attenti al nostro compagno, siamo in grado di leggere nelle sue espressioni, ma soprattutto negli occhi i suoi sentimenti e gli stati d’animo molteplici che attraversano il suo vivere accanto a noi.

Appassionato come sono di cose militari, ho scoperto, non senza sorpresa che il moderno saluto militare, portando la mano destra alla visiera del cappello, eguale in tutto il mondo e in tutti gli eserciti è un retaggio del medioevo, quando i nobili cavalieri erano interamente ricoperti da ferree armature e avevano il capo coperto e protetto da elmi piumati, che celavano interamente il volto e il sembiante. Quando due cavalieri si incontravano, con la mano destra sollevavano, al di sopra della fronte, la celata dell’elmo per scoprire il volto in segno di amicizia e fiducia nell’altro e mostrare l’espressione non ostile. Da qui il moderno saluto militare. Si evince quindi come la nobile arte di scoprire l’animo dell’altro attraverso i tratti del volto sia vecchia quanto il mondo e quindi, un poco di storia non guasta e forse non annoia l’incauto lettore.

Già nel Mahabharata troviamo alcuni passi che mostrano quanta importanza gli indiani accordassero allo studio dei tratti del volto per capire le pieghe più nascoste della personalità di un individuo e qualcosa di simile avveniva anche presso altre popolazioni dell’estremo e medio oriente, ma per arrivare ad una vera e propria teorizzazione scientifica bisognerà attendere la cultura greca di Ippocrate, per quanto riguarda la Medicina e di Platone e Aristotele soprattutto per ciò che riguarda la filosofia e la pedagogia. Basta pensare che solo quegli studenti il cui aspetto fisico suggeriva determinate capacità di apprendimento venivano ammessi alla scuola pitagorica. Crudelmente mi chiedo cosa accadrebbe oggi, se lo stesso principio venisse applicato ai nostri attuali studenti.

Nello stesso periodo nasce l’idea della correlazione tra l’anomalia fisica e la degenerazione morale, topos che si ritrova sin nella concezione greca del còsmos, nello stesso tempo ordine e bellezza, e in quella del kalòs kagazòs, bello e buono.

E’ attribuito ad Aristotele il primo trattato pervenutoci sull’argomento, la “Storia degli animali”. Esso si basa sulla teoria dell’interdipendenza di anima e corpo e si affida alla comparazione tra un tipo umano ed una specie animale; infatti, l’individuo con sembianze simili a quelle di un particolare animale è ritenuto in possesso di analogo temperamento: un naso aquilino denota nobiltà, la faccia bovina un’indole placida e così via. All’uomo ideale si attribuiscono le qualità del leone. Lo stesso concetto e le stesse analogie verranno riprese, come vedremo successivamente, da Giovanni Battista della Porta, quasi duemila anni dopo.

Sempre ad Aristotele si attribuisce il primo trattato sistematico sulla fisiognomica, giunto a noi, il volumetto “Physiognomica” che però e più probabilmente, non è suo, ma della sua scuola. In esso vengono affrontati e sviluppati, in termini moderni e logici, i temi della corrispondenza tra l’aspetto umano ed il comportamento, senza però che da tale corrispondenza, con un’intuizione di grande modernità, si possano dedurre e formulare leggi rigide di interpretazione, “Ciò che è duraturo nella forma esprime quanto è immutabile nella natura dell’essere e ciò che è mobile e fugace in detta forma esprime quanto, nella medesima natura è contingente e variabile”, temi che furono ripresi e ampliati durante tutto il Medioevo da scienziati e medici arabi come Averroè e Avicenna, sia da filosofi scolastici come Alberto Magno e Michele Scoto che scrisse il primo libro a stampa sull’argomento.

Facendo un balzo temporale indietro, anche il mondo e la cultura latina, più propensi ad una utilizzazione pratica, piuttosto che ad una speculazione teorica e filosofica furono cultori attenti e interessati dell’argomento: ad un Anonimo latino del IV secolo a.C: dobbiamo un “de Phisiognomonia” e Marco Tullio Cicerone fu un grande conoscitore ed utilizzatore pratico degli studi fisiognomici nella sua attività politica, oratoria e giuridica.

Se riprendiamo la citazione iniziale, tratta dalla Orazione di Cicerone contro Verre, vediamo che per il retore, non solo la vita di Apronio, ma anche e soprattutto il corpo ed il volto “significano” la sua malvagità ed abiezione morale. Il corpo ed il volto divengono argomento della orazione e nei suoi tratti sono ricercati gli indicia della colpa. Si tratta di una strategia d’attacco operativa, per lo più nelle orazioni di accusa, nelle quali Cicerone costruisce abilmente un ritratto psico-fisico dell’imputato, un artificio che consente l’interpretazione fisiognomica del carattere attraverso la descrizione dell’aspetto esteriore. I segni del volto avversario, che vengono a costituire un ritratto compiuto, sono funzionali ad un suo “riconoscimento morale”. La moderna concezione qui delineata è quella di un corpo rispondente, nella figura, alla natura di ciascun uomo (figuram corporis…aptam ingenio hùmano) e quindi di una fisionomia capace di rivelare le più intime inclinazioni del carattere. ”Bisognerà presentare le virtù e i vizi dell’animo, quindi mostrare il comportamento psicologico di fronte ai pregi e ai difetti fisici ed esteriori. Se il fine è dunque la persuasione, il volto deve essere in primo luogo la rappresentazione speculare di una deformità d’animo ancora più deplorevole: è questa che deve muovere la volontà del giudice”. Il culmine di questa concezione è raggiunto nelle Orazioni contro Catilina nelle quali “color, oculi, vultus, taciturnitas” sono indizi di colpevolezza, addirittura superiori agli indizi materiali. Sembra che Cicerone abbia anticipato di secoli il tanto vituperato e misconosciuto Cesare Lombroso.

Purtroppo anche gli studi fisiognomici, come tante altre cose importanti e giuste, furono bollati dalla Chiesa cattolica, come frutto di una cultura pagana e quindi avversati, ma per fortuna la umana curiosità e l’aspirazione ad una libertà di pensiero, sopite, ma non uccise da tali espressioni di arretratezza, risorsero con il genio di Leonardo da Vinci il quale si occupò tanto di questa scienza che si presume abbia scritto un trattato sull’argomento, oggi perduto. Caratterizza in modo spettacolare la ricerca di Leonardo l’interesse per la conoscenza non più solamente del mondo visibile, ma piuttosto di quello delle passioni intime, della sfera psicologica, ed è testimonianza di un mutato atteggiamento della cultura tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento.

Lo studio della anatomia e della fisiologia sono lo strumento che lo scienziato utilizza per investigare e conoscere il mondo umano visibile, il nostro corpo ed il suo funzionamento, la fisiognomica, dal canto suo, lo strumento principe per investigare i “moti dell’animo”. Grazie alle sue continue osservazioni nasce la teoria dell’occhio, cioè della pittura, come “finestra dell’anima” e si comincia a guardare alle zone più oscure della psiche. Per Leonardo è necessario che dalle azioni delle figure umane emerga ciò che hanno nell’animo. L’analisi fisiognomica viene poi ricondotta nell’ambito più ampio degli studi anatomici e vengono quindi prodotti schizzi in cui lo scienziato descrive con puntigliosa attenzione volti particolarmente caratterizzati, quasi delle caricature, e li confronta con la rispettiva conformazione del cranio.”Farai le figure in tale atto, il quale sia sufficiente a dimostrare ciò che la figura ha nell’animo; altrimenti la tua arte non sarà laudabile”

Nasce così lo straordinario connubio tra studi fisiognomici e arte figurativa, cui accenno solamente, per dovere di spazio e che si svilupperà a partire dal Cinquecento per tutti i secoli a venire, sotto forma di ritrattistica, molto influenzata dallo spirito del tempo. Basta pensare a Giorgione, a Lorenzo Lotto, a Tiziano, al Caravaggio, ad Annibale Carracci morto di malinconia a 49 anni, a Rubens, a Rembrandt, a Vèlazquez, a Vermeer, a Goya, a Degas, a Van Gogh, a Munch, a Toulouse-Lautrec, a Klimt.

Tornando alla nostra storia della Fisiognomica, nel 1586 Giovan Battista della Porta pubblica il ”De humana Physiognomonia”, da lui stesso ampliato e tradotto in volgare “Della fisionomia dell’uomo”, pubblicato negli anni successivi, fino al Seicento, con lo pseudonimo di Giovanni De Rosa, per non incorrere, pericolosamente negli strali della Chiesa. E’ un’opera di sintesi del pensiero classico-medievale sull’uomo, che prendendo le mosse da Aristotele, espone, nei sei volumi di cui è composta, i principi secondo i quali dall’aspetto e dal temperamento dell’uomo si possono trarre conclusioni sulle sue qualità mentali e sul carattere. Come per Aristotele, anche per Della Porta è ravvisabile in visi umani una corrispondenza con specie animali diverse: l’individuo con sembianze simili a quelle di uno specifico animale è ritenuto in possesso di analogo temperamento. Anche in questo caso all’uomo ideale si attribuiscono le qualità del leone. Ma l’Opera non si esaurisce qui; nel secondo libro, infatti, il corpo umano è sottoposto ad una minuziosa, quanto interessantissima disamina che va, ogni volta con minuziose specifiche, dal capo alla fronte, sino alle sopracciglia, tempie orecchie, naso e così via sino alle estremità. Il terzo libro è interamente dedicato agli occhi, dei quali si esaminano la forma, i colori, le palpebre e i loro movimenti ”Sono gli occhi veramente fra le nobilissime parti di tutto il corpo umano le principalissime, perché i principali segni della Fisionomia si traeno dalli occhi. La perfezione della Fisionomia si toglie dalli occhi, et i segni che dalli occhi si togliono sono i più veri et i più gagliardi di tutti quelli che si togliono dal volto; e quando i testimon delli occhi s’accordan con quelli del corpo, allor son verissimi; ma se quelli delli occhi discordan dagli altri, allor devi lasciar gli altri ed attaccarti a quelli delli occhi”

Il quarto libro tratta di altri particolari, come capelli, peli, modi di camminare, bellezza o bruttezza del viso, abbigliamento, mentre il quinto, forse il più interessante è dedicato a delineare i vari caratteri, sulla base dei “segni”indicati nei libri precedenti. Della Porta ci fornisce così una sequela di ritratti morali ricavati dall’aspetto fisico: il giusto e l’ingiusto, l’uomo dabbene e l’uomo cattivo, il fedele e l’infedele, il prudente e l’imprudente, l’ingegnoso e in fine l’eroe. Una carrellata di tipologie caratteriali che ricorda “I Caratteri” di Teofrasto e che tutt’ora è di godibilissima e attualissima lettura per chi si occupa di psichiatria. Il sesto libro elenca una serie di rimedi per riparare ai vizi descritti nel libro precedente.

Intanto il Cinquecento volgeva rapidamente al termine ed avanzava a grandi passi il Seicento, il secolo di Galileo Galilei, di Cervantes, di Shakespeare, di La Rochefoucauld, di La Fontane, di Rembrandt, di Vèlazquez, di Vermeer, di Pascal, di Spinosa, di Bacone, il primo a considerare, in chiave moderna il problema della follia, ma soprattutto di Cartesio, il quale con il suo “Discorso sul metodo”, pone le basi razionali del sapere scientifico. Nasce con lui l’illusione che l’oscuro possa essere messo in piena luce, per mezzo della ragione. Egli non parla esplicitamente di fisiognomica ma nel suo libro “Le passioni dell’anima” cerca di sistematizzare il rapporto anima e corpo (res cogitans e res extensa), descrive ed investiga acutamente i segni esteriori dell’anima, gli occhi, il viso, il pianto, i tremiti, il languore, i sospiri.

Alla scuola di Cartesio si forma Charles Le Brun, primo pittore alla corte del Re Sole, Luigi XIV che scrisse il più famoso trattato di fisiognomica del tempo, “Espressione generale e particolare” istituendo le basi razionali di questa scienza e attirando su questa l’interesse e l’attenzione mondiale. Il peso di questo autore fu tale che nella scelta degli ambasciatori di Luigi XIV conterà anche l’analisi fisiognomica: quelli che avranno facce non convincenti, secondo i criteri di Le Brun, saranno scartati.

Contemporaneo di Le Brun, ma in Inghilterra, fu il fisico e filosofo Thomas Browne, autore di un trattato, “Religio medici” nel quale teorizzò la possibilità di dedurre le qualità interne di un individuo, dall’aspetto esteriore del viso “nei tratti del nostro volto è scolpito il ritratto della nostra anima”. Successivamente Browne espresse esplicitamente le proprie convinzioni sulla fisiognomica nella sua opera magistrale” Christian Morals”,Poiché il sopracciglio spesso dice il vero, poiché occhi e nasi hanno la lingua, e l’aspetto proclama il cuore e le inclinazioni, basta l’osservazione ad istruirti sui fondamenti della fisiognomica….spesso osserviamo che persone con tratti simili compiono azioni simili. Su questo si basa la fisiognomica…).

Con questi ultimi due nomi si chiude il Seicento, il secolo della “ragione” di Cartesio, il secolo in cui l’Uomo cominciò a nutrire l’illusione che l’oscuro potesse essere messo in piena luce attraverso e per mezzo della propria ragione e che egli potesse finalmente essere affrancato da ogni schiavitù interiore, utilizzando quello che, a diritto, considera il più nobile segno di libertà, la propria capacità di giudizio. E proprio per difendere questa libertà gli uomini che ho nominato e tanti altri, furono costretti a lottare, rischiando anche la vita contro l’acerrimo nemico di questa stessa libertà, la Chiesa cattolica, che ha sempre visto e tutt’ora vede, nella libera espressione del pensiero razionale il pericolo più grave, da cui guardarsi e contro cui lottare.

Pensiamo che il Seicento fu anche, anzi soprattutto il secolo che si aprì con il rogo di Giordano Bruno, il secolo di Galileo Galilei, del suo processo, conclusosi con la sua abiura “Eppur si muove”,per aver salva la vita, il secolo della Santa Inquisizione, dei processi alle streghe, dei roghi degli eretici, degli omosessuali e di tutti coloro che non si conformavano e sottomettevano ai dettami della Chiesa.

E se il Seicento può essere definito il secolo della Ragione, il Settecento, il secolo dei “lumi” è, senza ombra di dubbio, il secolo della Libertà. Non occorre soffermarci sugli enormi sconvolgimenti che dominarono la scena storica di questo secolo, dominato, per quanto riguarda il nostro discorso sulla fisiognomica, da due personaggi, anzi da due personalità in continuo conflitto tra loro: il pastore protestante zurighese Kaspar Lavater e il docente di fisica dell’università di Gottingen Georg Lichtenberg.

Il primo, autore di un opera “Frammenti fisiognomici” si muove sulla scia della fisiognomica classica, tradizionale di Aristotele e Della Porta guadagnandosi un successo forse immeritato presso i contemporanei: Egli si rese famoso con l’invenzione delle silhouettes, profili del corpo su sfondo bianco, con le quali cercò di definire per sempre tutte le caratteristiche possibili del volto umano, da studiare secondo criteri determinati, che legano tratti e caratteri, senza possibilità di modificazione. Colpisce il fatto che con Lavater, la fisiognomica sia divenuta un vero fenomeno sociale, caratterizzata da una frenesia da parte della nobiltà e della borghesia di inviare allo studioso le proprie silhouettes da esaminare. A questa curiosità non rimase immune nemmeno Goethe.

Di ben maggiore spessore e forse proprio per questo meno famoso è lo scienziato tedesco Lichtenberg che insiste sull’importanza che hanno, non i tratti fissi, ma quelli mobili della fisiognomica, quelli determinati da come i sentimenti, più che l’ereditarietà dei lineamenti, influiscono sul volto. Si torna, in questo modo ai concetti che per primi furono di Leonardo da Vinci. Così Lichtenberg propone di sostituire la fisiognomica statica di Lavater con una fisiognomica dinamica, che egli stesso definì “patognomica”, cioè lo studio delle passioni transitorie che deformano i corpi nelle varie circostanze della vita.

Certamente la concezione di Lichtemberg è molto più moderna di quella del suo antagonista, ma la patognomica è difficile, comporta un’attenzione capillare ai dettagli che un volto presenta, in tutti gli attimi in cui lo osserviamo e per di più non ci fornisce alcun sistema di riferimento sicuro, non ci sono misure del cranio, non c’è proporzione del volto e del corpo, cui fare riferimento. Tutto si gioca sull’interazione, sull’incontro tra me e un altro che devo analizzare. Inizia a farsi strada il concetto di relativismo scientifico in quanto l’osservatore è comunque soggettivo, mentre il corpo dell’osservato è in continuo cambiamento.

A cavallo tra la fine del Settecento e l’inizio dell’ottocento, nacque e si sviluppò incredibilmente una nuova teoria pseudoscientifica, contigua alla fisiognomica, La “frenologia” per opera del medico tedesco Franz Joseph Gall, il quale, rifacendosi alle teorie di Lavater, teorizzò che le singole funzioni psichiche dipendessero e fossero originate da particolari zone o” regioni” del cervello, per cui, dall’esame della morfologia del cranio, dalle sue bozze, linee, depressioni, si potrebbe giungere alla determinazione delle qualità psichiche dell’individuo e della sua personalità. Attività particolarmente cara a Gall fu quella di collezionare crani di persone che in vita si erano particolarmente distinte in vari modi, per studiarne le caratteristiche e le irregolarità, che a suo dire avrebbero dato ragione della loro genialità. Parimenti a tante altre cose stupide e prive di ogni fondamento le teorie di Gall ebbero un notevole seguito e la frenologia divenne famosa e lo rimase per quasi un secolo.

In piena epoca napoleonica, ma in Inghilterra, nel 1806, Sir Charles Bell, illustre neurologo, pubblicò un trattato fondamentale per la fisiognomica, riguardo al problema dell’origine delle diverse espressioni umane: “Anatomia e filosofia dell’espressione”, opera considerata basilare per la ricerca che sarà poi ripresa da Darwin.

Quest’ultimo, infatti, utilizzando per la prima volta a scopi scientifici, una recentissima scoperta (1839) la fotografia, pubblicò nel 1872 “L’espressione dei sentimenti nell’uomo e negli animali” opera che rappresenta senza dubbio una pietra miliare nella ricerca fisiognomica: e nella quale, infatti, con l’ausilio di numerosissime fotografie, teorizzò e sostenne una tesi innovativa e rivoluzionaria, ossia che le emozioni e le conseguenti espressioni nascono come segnali di un meccanismo fisiologico, individuale e della specie, con cui l’animale e l’uomo reagiscono all’ambiente, per difesa e per attacco, al fine della sopravvivenza e della selezione naturale.

Con Darwin, superata a piè pari l’epopea napoleonica, i grigiori della Restaurazione, i fulgori romantici del Risorgimento e delle guerre di Indipendenza, che portarono all’Unità di Italia,

 ci troviamo ormai in pieno positivismo scientifico con la sua fede incrollabile assolutamente laica e rigorosamente ottimistica, nelle virtù, della scienza Il positivismo con il suo continuo richiamo al positivo, inteso come dato dell’esperienza e del fatto concreto, può essere interpretato più che come una corrente filosofica, come un nuovo metodo, una nuova mentalità, incentrata sulla fede incondizionata nel progresso scientifico, che condusse le scienze naturali ad essere assunte al ruolo di strumenti prioritari di conoscenza della realtà. In tale clima nacque, si formò e sviluppò la sua teoria e la sua ideologia Cesare Lombroso (1835-1909 ) considerato a tutto diritto, universalmente il padre della moderna antropologia criminale o criminologia. Di Lombroso si è detto tutto e il contrario di tutto; fu considerato dai contemporanei un gigante nazionale e solo cinquanta anni più tardi lo si è chiamato servo venduto della borghesia, visionario pazzo, semplificatore privo di metodo, affrettato etichettatore e arbitrariamente superficiale nella costruzione scientifica o pseudo tale. In realtà, ritengo che gli acerrimi suoi detrattori, plausibilmente non abbiano letto le sue opere, o forse le abbiano lette, il che è anche peggio, dominati ed offuscati da un loro pregiudizio ideologico, contrario ad ogni procedere scientifico, attribuendogli con una accezione negativa concetti ed intenzionalità che non gli appartennero.

I Principi generali della teoria di Lombroso sono espressi nella sua opera fondamentale ”L’uomo delinquente” pubblicato nel 1876. In essa Lombroso distinse diversi tipi di criminali: 1) il delinquente nato, nel quale si assommano e riconoscono alcune anomalie regressive riconoscibili per caratteristiche anatomiche e fisiologiche particolari, e per il quale la criminalità è insita nella propria natura, e che è considerato soggetto non recuperabile, 2) il delinquente epilettico, 3) il delinquente per impeto passionale (forza irresistibile), 4) il delinquente pazzo o debole di mente (mattoidi), 5) il delinquente occasionale portato al delitto da fattori causali diversi da quelli del delinquente nato; su di essi deve essere svolta un’opera di rieducazione in istituti carcerari ben organizzati.

L’interesse di Lombroso si concentrò naturalmente sul criminale nato, nel quale la spinta a delinquere sarebbe congenita, legata alla natura stessa della persona e come tale non rieducabile e men che meno curabile (teoria dell’atavismo), perfettamente in linea con le teorie di Darwin.

Egli dedicò tutta la sua vita a ricercare, nella fisionomia, nei caratteri esteriori dei criminali, quei tratti comuni, quelle caratteristiche fisiche che li accomunassero e che potessero essere considerate stigmate precise e riconoscibili, della loro tendenza, naturale e congenita a delinquere. Ipotizzò anche, dall’esame autoptico dei criminali, che queste inclinazioni ataviche fossero corrispondenti e quindi riconoscibili in anomalie anatomiche e strutturali che rendessero ragione della loro innata tendenza a delinquere.

Particolare attenzione doveva essere posta alla conformazione del cranio e delle ossa facciali che, nei delinquenti congeniti, presentavano alcune anomalie, come la ridotta capacità cranica, una fronte bassa e sfuggente, una struttura facciale sporgente, con mandibole fortemente sviluppate, ossa zigomatiche particolarmente pronunciate, seni frontali anormalmente sviluppati. Ulteriori segni rivelatori potevano essere deviazioni dal peso normale del cervello, forma atipica delle circonvoluzioni e della fossetta occipitale, anomalie delle orecchie, quali orecchie prominenti o a sventola, labbro leporino, difformità tra il labbro superiore e l’inferiore, sottigliezza anomala del labbro superiore, sviluppo anormale della dentatura. Nel clima ottocentesco di forte scientismo, di bisogno di catalogare, di sistematizzare, di misurare, di schedare, l’antropologo Lombroso raccolse, per comprovare le sue teorie, tantissimo materiale fisiognomico, specialmente fotografico, raccolto nel carcere, negli schedari della polizia (foto segnaletiche) e nelle sale settorie dell’Istituto di Medicina Legale da lui diretto, al fine di mettere in rilievo la diversità di chi era già stato dichiarato reo, di catalogare le stigmate della diversità colpevole, di certificare scientificamente le differenze del criminale, di mettere in relazione l’attitudine al crimine, con specifiche caratteristiche fisionomiche, corrispondenti a specifiche strutture caratteriali.

Osannato dai contemporanei Cesare Lombroso, cadde in disgrazia negli anni successivi al secondo conflitto mondiale, tacciato, dai suoi detrattori addirittura di razzismo, del tutto ingiustamente, a mio parere, ma comprensibilmente, nel nuovo clima culturale instauratosi, pregno della pseudoscientifica dottrina psicoanalitica, che naturalmente mal sopportava il determinismo lombrosiano e la sua concezione di una caratterologia predeterminata.

E per dare all’incauto e benevolo lettore un esempio di come possa procedere e quali risultati possa dare un’analisi fisiognomica attuale, intesa, come dicevamo prima, non come una scienza esatta che utilizza precisi parametri matematici, ma piuttosto come un’arte, mi si perdoni l’immodestia, ci siamo cimentati in un tentativo di ritratto fisiognomico di Romano Prodi.

E’ una persona che a prima vista può trarre in inganno. Sotto un aspetto bonario e pacato, aspetto suffragato da una intonazione di voce bassa e monotona e da un eloquio lento e caratterizzato da lunghe pause, nasconde una ferrea volontà ed una determinazione assoluta. E’ una persona che quando si propone un obbiettivo lo persegue senza esitazioni o ripensamenti, senza incertezze o dubbi lungo la strada.

Lento piuttosto nel prendere le decisioni, ma fermamente determinato una volta che le abbia prese.

In termini sportivi lo definirei un maratoneta, piuttosto che un atleta di scatto e velocità.

Non si lascia toccare dalle critiche o dalle opposizioni, che non scalfiscono le sue sicurezze. Si contrappone a queste come un muro di gomma, che apparentemente non oppone resistenza e si lascia deformare, tornando poi, elasticamente alla posizione iniziale. In questo modo sconfigge l’impeto dell’avversario. Non conosco se giuochi a scacchi, ma sarebbe un ottimo giocatore. Ama però il rischio, ma solo quando è calcolato. Non agisce mai d’impulso, ma solamente dopo un’attenta riflessione. Imperturbabile, rigido con se stesso, ma soprattutto con gli altri, dai quali pretende moltissimo, poco disposto a perdonare. Permaloso. Dalla lunga memoria per quanto riguarda i torti e le offese subite, per le quali può chiedere il pegno anche dopo anni. Molto bravo e capace nell’attendere che il cadavere del suo nemico sia trasportato dal fiume. Di una cortesia e educazione formale perfetta, soprattutto con chi non stima e gli è avverso. Gelosissimo della sua vita privata, che custodisce con cura. Scarso e parco nell’espressione dei sentimenti, che sono però profondi e costanti. Opera una rigida separazione tra la sua vita pubblica e privata. Non si lascia coinvolgere facilmente ed è molto capace di dominare le emozioni e le passioni. Metodico sul lavoro e costante nell’impegno. Non soggetto a stress. Nella vita familiare è presente e partecipe. Non si concede lussi ed è parco nelle spese. Un buon amministratore dei propri beni. Un buon risparmiatore per ciò che concerne gli aspetti materiali, ma soprattutto sentimentali della vita. Non teme la morte, ma ne è infastidito.

Domenico Mazzullo

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