Lettera aperta a un figlio diciottenne trovata in un libro.

Lettera aperta a un figlio diciottenne trovata in un libro.

A volte, raramente, nella vita ci accadono cose semplici, quasi insignificanti, forse banali per i più, ma non per noi, e che ci riempiono l’animo di stupore e commozione, che ci ricordano tempi passati e non necessariamente felici, solo perché sono passati, che ci rievocano nostalgie, rimpianti, sensi di colpa, per ciò che si sarebbe potuto fare e non si è fatto, per ciò che si sarebbe potuto dire e non si è detto.

Sono momenti magici che ci obbligano a fermarci, a fermare quasi inconsapevolmente il tempo che scorre impetuoso e a guardarci indietro, a rovistare nel nostro archivio della memoria, a raccogliere i nostri pensieri e i nostri sentimenti in un fascio unico, in un unico mazzo di fiori ideali, racchiusi e stretti assieme dal filo unico della nostra ideale memoria, e spesso questi fiori sono crisantemi, i fiori dei morti.

Amo gli oggetti antichi, le cose vecchie, non necessariamente di valore, ma che sono appartenute ad altri prima di me, che sono state da altri utilizzate, maneggiate e forse anche amate, le cose nelle quali è rimasta racchiusa, è contenuta l’anima di chi le ha possedute, anima che qualche volta ho la fortuna di intuire, di cogliere, anima che a volte si svela e si rivela anche a me.

I libri sono, tra queste cose, oggetti prediletti e privilegiati, per la loro stessa natura, per il loro intrinseco valore e proprietà, di essere stati scritti dall’autore e letti da uno o più lettori e di tutti questi, i libri, posseggono l’anima.

Oggetti dalle molte anime. Mi piace pensarli così.

E per questo i libri, tanto più sono antichi, o vecchi, tanto più li amo e mi affascinano e vedo in loro i volti di tante persone che li hanno sfogliati, letti, studiati, maneggiati, amati e odiati, a volte, se sono libri di scuola.

Quando poi scopro nel loro frontespizio una dedica, una data, un nome, sono felice e allora la mia anima vola e fantastica su chi li ha comprati per poi regalarli, donarli all’altra persona, con il preciso intento che questa leggesse proprio quel libro, le parole in esso racchiuse, il messaggio in esso contenuto e in ultima analisi l’animo stesso e il sentimento di chi lo ha pensato, scelto e donato.

Per questo sono un assiduo, ossessivo frequentatore di mercatini e bancarelle, ove mi piace rovistare tra libri polverosi, odorarli, maneggiarli con la cura dovuta ad oggetti preziosi ed appartenenti al passato, appartenuti ad altri prima di noi e la cui anima è rimasta a loro adesa e che non deve essere sciupata, lacerata, profanata con gesti rudi e maldestri, ma onorata e rispettata, protetta e conservata.

A volte, spesso mi è capitato di trovare in essi libri, oltre alla dedica, qualche appunto scritto a matita, in margine o in calce di pagina, con grafie minute, a volte tremanti, o incerte, di quella incertezza o esitazione propria dei bambini e dei vecchi; qualche volta mi è capitato di leggere su libri di scuola, più spesso di Matematica, parole oscene di qualche studente in difficoltà con gli esercizi di Algebra, o di Trigonometria, raramente dolcissime parole d’amore per una compagna di classe, forse addirittura di banco, ma sono perle ormai rare che si trovano solo in libri coevi del più famoso libro “Cuore”, quelli rilegati,  con la copertina di pelle o di Carta di Firenze.

Ormai queste parole non si scrivono più sui libri, forse neppure si pronunciano più. Ci si vergogna dei sentimenti, quando si provano.

A volte ho trovato in essi un segnalibro, quelle striscioline meravigliose, che ci aiutavano a rammentare dove eravamo giunti nella lettura, la sera prima, prima di addormentarci, vinti dalla stanchezza, magari con la luce ancora accesa. Quale nostalgia ho provato nel trovare in uno di essi, un libro di scuola, un segnalibro proprio della mia infanzia, quelle figurine rettangolari e lunghe contenute nelle matite colorate marca “Giotto” quelle della mia infanzia, quelle che la maestra dell’asilo ci regalava in premio per essere stati buoni ed ubbidienti, come si diceva allora e l’ubbidienza era considerata un valore.

Oggi, su una bancarella vicino casa, ove quotidianamente, appena posso mi reco, con la speranza, sempre mantenuta, di trovare qualcosa, con la paura, se un giorno non ho avuto tempo e non mi è stato possibile, di perdere irrimediabilmente qualcosa di importante, con la stessa trepidazione, con cui bambino, aprivo con mano tremante, la busta da dieci lire delle figurine e la speranza e la fiducia di trovare quella mancante, oggi ho comprato per caso un libro, il cui titolo mi aveva attirato e forse, perché no, anche chiamato, con la dolorosa consapevolezza che forse non farò a tempo a leggerlo, che forse non vivrò abbastanza per leggere questo, assieme ai tanti altri, che speranzosi attendono di essere letti e che forse dovranno accontentarsi del magro premio di consolazione di essere stati solamente posseduti da una persona che ama i libri e che ottimisticamente ancora vive nella illusione di riuscire a leggere tutti quelli che porta a casa.

A casa nella tranquillità e nel solitario raccoglimento del mio studio, mi accingevo, con la solita mia penna stilografica caricata con inchiostro blu-nero, a firmare la prima pagina del libro ed apporre su questa il luogo e la data d’acquisto, a mia personale memoria, quasi fosse una dedica a me medesimo, quando con grande meraviglia e stupore ho rinvenuto, tra le pagine del libro una busta gialla, evidentemente ingiallita dal tempo, sulla quale era scritto, con mano decisa, ma con grafia delicatamente femminile e con inchiostro stilografico azzurro pallido:

“Per Mario

(ovvero lettera aperta ad un figlio diciottenne)”.

La lettera, o meglio la busta, era veramente aperta e questo è suonato per la mia curiosità come un palese, insopprimibile invito, superando la mia naturale riservatezza, a leggerne il contenuto, con lo stato d’animo di chi commette una profanazione, di chi proditoriamente si insinua nella intimità di un altro, di chi non rispetta la gelosia dei sentimenti, ma oscenamente si lascia andare a frugare tra questi, ma la mia suddetta curiosità è stata più forte di ogni senso morale e di rispetto e ho letto, tutto d’un fiato il contenuto della lettera che riporto integralmente:

Carissimo Mario,

prima di tutto: tanti auguri!

Ti voglio ringraziare per questi 18 anni in cui ti ho potuto amare, accudire e seguire e durante i quali, tu, anche se a volte un po’ scontroso, hai sempre dimostrato una consapevolezza, una bontà ed una onestà di sentimenti. Grazie del Tuo affetto anche se non palese, di avermi ascoltato delle volte e cercato di capire. Grazie di essere arrivato a 18 anni con una madre fiera di te. Avrei sempre voluto darti molto di più e non sempre ho potuto, ma sicuramente ti ho dato sempre la mia disponibilità e la mia protezione, cercando di darti giusti consigli, che adesso che inizi il tuo percorso di vita da adulto potrai mettere in pratica. Vai dritto per la tua strada, sempre mantieni la coerenza con Te stesso, segui la tua morale per cui non dovrai mai vergognarti né di te né delle Tue azioni.

Se sei convinto di qualcosa vai fino in fondo. Abbi fiducia in te stesso e sii sempre sereno. Se anch’io ho sbagliato, ho mancato in qualcosa, capiscimi e accettami con grande umanità in un grande abbraccio di amore.

Moltissimi ricordi della tua infanzia e fanciullezza mi arricchiscono la vita e la riempiono; spero che anche Tu abbia nel cuore qualche bel ricordo da poter condividere con me.

Auguri Mario per una vita felice e di successo, ricordati che dando agli altri, sempre qualcosa tornerà indietro.

Io voglio guardare incamminarti nella tua vita da grande, con occhi vigili, orgogliosi e che la tua strada sia sempre in salita.

Mamma

Lascio all’incauto lettore che mi ha seguito fin qui, la libertà di immaginare e intuire i sentimenti che ho provato, nel leggere queste parole, nonché la libertà di vedere i miei occhi rossi di commozione, ma non posso lasciarGli la libertà di intravedere e prevedere i miei pensieri durante e dopo la lettura di queste righe.

Ho provato per prima una intensa, acutissima nostalgia, per chi è facile immaginarlo, un senso di colpa lacerante per l’affetto non abbastanza ricambiato e non nei modi giusti, una lacerante tristezza e malinconia, ma anche una poco onorevole invidia per questo Mario, che ha potuto ricevere una lettera così bella nel giorno del suo diciottesimo compleanno, che ha potuto godere di un amore materno così puro e maturo.

Chi è Mario? Cosa sarà diventato? Sarà un medico, un avvocato un architetto? Non voglio neppure essere sfiorato dal dubbio atroce che Mario non sia divenuto ciò che la mamma gli ha augurato di essere, di essersi rivelato un vigliacco, un vile, un egoista, una persona priva di sentimenti, o ancor peggio, (ma sarebbe veramente peggio?) non sia più in vita.

E la mamma di Mario ove sarà? Sara ancora tra noi a vegliare su di lui? O ci avrà e lo avrà lasciato?

Tra questi dubbi e tra questi interrogativi s’annega il pensier mio.

Ma un unico, doloroso, malinconico pensiero non mi lascia e mi attanaglia con un morso feroce.

Perché una lettera così bella, così preziosa, così struggente è finita dimenticata tra le pagine di un libro, su una bancarella di libri usati, finendo infine, fortunosamente tra le mie mani?

Perché Mario non l’ha gelosamente conservata tra le sue cose più preziose?

Grazie, ignota mamma di Mario. Spero che tu non legga mai queste righe e mai sappia che la tua lettera meravigliosa è finita tra le pagine di un libro, su una bancarella di libri usati a Porta Pia

Domenico Mazzullo

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