Morire deve essere come addormentarsi dopo l’amore, stanchi, tranquilli e con quel senso di stupore che pervade ogni cosa.
Questo è il titolo che ho voluto dare ad un discorso, il nome conferenza sarebbe troppo importante e roboante, che ho tenuto ieri ad alcuni amici riuniti presso i locali storici di una antica e famosa Sezione del Partito Repubblicano a Testaccio, in Roma, (via Aldo Manuzio 91) e ora sede
dell’ ALCRAS Associazione che si ispira agli ideali laici e repubblicani, alle idee di Giuseppe Mazzini e che si prefigge di mantenere viva la memoria del Suo pensiero e della Sua fede nella triade delle parole magiche: Libertà, Fratellanza, Eguaglianza.
Le parole del titolo sono di Piergiorgio Welby, la persona che dopo anni di tragica, dolorosissima malattia ha chiesto ripetutamente e strenuamente che fosse lasciato libero di morire, di por fine ad una vita divenuta per Lui insopportabile e che per primo ha sollevato alle nostre coscienze addormentate, il problema di un malato che in piena coscienza, consapevolezza e determinazione chiede di essere lasciato morire, perché questa è la sua precisa volontà.
Tutti ricorderanno, o spero che ricordino il dramma, non più privato, ma divenuto pubblico, di quest’uomo condannato, paralizzato da anni in un letto, attaccato ad un respiratore e che solamente chiedeva di morire. Tutti ricorderanno l’accanimento con il quale gli oppositori a questa precisa libertà di ciascuno, si sono scagliati contro questa ultima Sua volontà e libertà.
Tutti ricorderanno la perfidia con la quale i vertici della chiesa cattolica hanno rifiutato a Piergiorgio Welby, Che intanto aveva raggiunto finalmente la pace cui agognava, il funerale religioso al quale Sua mamma così teneva, adducendo come motivo della negazione il fatto che Piergiorgio avesse esplicitamente fatto richiesta di essere lasciato morire in pace, peccando così davanti a Dio e macchiandosi della colpa atroce, di volersi impadronire, ponendole fine, di una vita che invece, secondo loro, non gli apparteneva.
Io ricordo bene l’emozione e la commozione che la Sua vicenda ha suscitato entro di me e lo sdegno e la riprovazione, il ribrezzo che questa negazione da parte della chiesa, di una chiesa che proclama e persegue il perdono, negandolo poi così facilmente, ha evocato nel mio intimo, portandomi alla decisione, il giorno stesso, di chiedere di essere sbattezzato, rifiutando così di appartenere, seppur formalmente, alla chiesa cattolica, incapace di perdonare. Rifiuto facilmente e prontamente da questa accettato, ma con la generosa postilla che se mi fossi pentito e ravveduto, la chiesa magnanimamente sarebbe stata disposta a riaccogliermi nel suo seno.
Ma queste ultime sono vicende private della mia coscienza che a nessuno interessano.
Ciò che invece grandemente interessa tutti, credenti e non è il fatto innegabile e incontrovertibile, che la vicenda umanissima e dolorosissima di Piergiorgio Welby ha dato lo spunto ed il via ad un processo inarrestabile di pensiero e di azione sul tema di quello che per convenzione viene ormai da tutti chiamato Testamento biologico.
E proprio il Testamento biologico rappresentava il tema dell’incontro di ieri. Proprio il Testamento biologico rappresenta il tema di queste pagine.
Chi ci ha seguito su questa rivista, ricorderà che l’argomento è stato già da me in precedenza trattato e quella di oggi non vuol essere una ripetizione di quanto scritto in precedenza, ma diversamente una cronaca una descrizione in diretta, una occasione per partecipare attraverso ciò che riuscirò a trasmettere, di una esperienza irripetibile, emozionante e commovente, unica sul piano umano e degli umani sentimenti, come io li ho provati e sofferti, come tutti noi che eravamo lì raccolti li abbiamo vissuti e sofferti, come tutti noi li porteremo sempre nel cuore, impossibili ad essere dimenticati e cancellati dalla nostra coscienza.
Perché ben diverso è parlare teoricamente, asetticamente, comodamente seduti in poltrona, o davanti al televisore di casa o davanti alle telecamere, di Testamento biologico e sostenere tesi avverse ed opposte, e ben diverso è ascoltare la cronaca dei fatti, la storia di anni di sofferenze, di dolori e di incomprensioni, ma anche di lotte e di solidarietà, dalla viva voce di Mina Welby, dalla vedova di Piergiorgio Welby, che ha vissuto vicino a Lui per anni, che ha sofferto accanto a Lui, che ha assistito al Suo coraggio e alla Sua disperazione, che Lo ha assistito con amore, che in fine ha acconsentito a che si lasciasse andare, che desse le dimissioni irrevocabili da una vita divenuta insostenibile ed insopportabile, che in ultimo ha dovuto tollerare e sopportare l’ultima offesa rivolta a Piergiorgio, da una chiesa che gli ha negato l’ultimo saluto religioso.
A tutto ciò io ho avuto l’occasione, l’onore di partecipare, di assistere, di essere presente, non il piacere, perché in certe esperienze il piacere non è contemplato.
Mina Welby era, infatti, seduta accanto a me, piccola, minuta, apparentemente timida, quasi indifesa, bisognosa di protezione, di considerazione; apparentemente, solo apparentemente, perché quando ha iniziato a parlare, prima di me, la voce si è fatta via via più sicura, più ferma, più tenace nelle Sue affermazioni, più coinvolgente ed emozionante, in un silenzio attonito e commosso. Ma non voglio anticipare nulla.
Un primo ed unico contatto con Lei c’era stato, tempo addietro per invitarLa alla conferenza alla quale aveva assicurato la Sua presenza. Ieri, mentre emozionato e in ansia attendevo avanti alla porta della Sezione, in istrada il Suo arrivo e mi chiedevo che aspetto avesse e cercavo di immaginarlo, facendo corrispondere alla voce un volto immaginario, una voce modesta, quasi timida, dal tono basso, mi ha raggiunto dietro le spalle costringendomi a girarmi: “Ecco un volto conosciuto…”. Era Lei. Una Signora piccola, dai capelli immacolati, ordinati e ben pettinati, di statura modesta e dal modesto abbigliamento, non per povertà, ma per la modesta importanza attribuita all’abbigliamento e all’apparire in generale, che però non trascura il decoro e l’estrema ordinatezza. Un paio di occhiali di foggia antica ed impersonale completava il quadro che immediatamente mi è apparso chiaro ed inconfondibile nella sua caratteristica.
Il volto giovanile e non solcato da rughe; un sorriso decoroso e modesto, non invadente, ma sincero e accattivante, aperto; occhi chiari, molto mobili vivi e vividi, ma nei quali, in fondo ai quali era visibile e percepibile un velo di profonda malinconia, di severa tristezza, ma non rassegnazione.
Un cappotto grigio chiaro, mi sembra spigato ed una gonna scura completavano l’abbigliamento.
Come sempre e per una assurda deformazione professionale, automaticamente e inconsapevolmente volsi lo sguardo in basso ad osservare le scarpe, che come immaginavo erano modeste, non alla moda e neppure eleganti, ma visibilmente comode e funzionali, a scarponcino.
Ho immediatamente provato verso questa signora conosciuta in quel momento un moto di simpatia, una sensazione di acuta ed intensissima familiarità: mi ricordava tremendamente mia mamma.
L’ho accompagnata dentro, scambiando con Lei qualche solita parola di circostanza e di ringraziamento per aver accettato il nostro invito e ho faticato sette camicie per convincerLa a non sedere tra il pubblico, come voleva, ma al tavolo dei chiamati a parlare, obbligandola ad accomodarsi, come il galateo prescrive, in mezzo, tra me e Benito Garrone il Presidente, promotore ed anima della nostra Associazione, cui la sorte ha dato il compito di fregiarsi di un cognome deamicisiano e di un nome storicamente importante.
Stupendo entrambi noi, la Signora Welby, rompendo gli indugi, ha preso per prima la parola dimostrando subito una tempra ed un carattere a prima vista inimmaginabile.
Ha esordito parlando della legge che è in preparazione, illustrandola e criticandola, ritenendola e sostenendo essere una ipotesi di legge, sul Testamento biologico, che stravolgerebbe e tradirebbe quelle che sono le nostre convinzioni ed istanze in tema, catturando, irretendo, affascinando subito l’uditorio, ma i toni sono saliti, l’emozione e la commozione di tutti noi, il pianto a stento nascosto di alcuni di noi, la partecipazione ha raggiunto il massimo quando dall’impersonale e asettica illustrazione della legge, si è inavvertitamente, inconsapevolmente, proditoriamente scivolati, nella narrazione degli ultimi anni, degli ultimi mesi, degli ultimi giorni di vita di Piergiorgio Welby, quando Mina strenuamente si opponeva fino all’ultimo ad un Suo divorzio da Lei e dalla vita, quando in fine si è dovuta arrendere, rendendosi conto che la vita era divenuta per lui insopportabile, quando ha dovuto e voluto assistere alla Sua morte, così desiderata e così strenuamente voluta.
Senza seguire un copione, senza seguire un ordine cronologico, ma spaziando qua e là tra la memoria, tra le Sue emozioni, tra i Suoi dolori e le Sue commozioni, Mina ci ha fornito tracce della Sua vita con Piergiorgio, spezzoni di un film tragico, ma conclusosi con un lieto fine, se ogni realizzarsi di un desiderio è un lieto fine, anche se drammatico. Ci ha anche fatto ridere e sorridere, raccontandoci particolari, che espropriati del loro contenuto doloroso, potevano apparire anche comici, ci ha fatto piangere, quando ci ha fatto assistere, attraverso le Sue parole alle atroci sofferenze quotidiane di Piergiorgio, quando ci ha fatto assistere alla Sua straordinaria dignità e desiderio di non perderla mai, ci ha fatto sorridere quando ha detto che le sembrava di essere in una “vendita” della Carboneria, così appunto si chiamavano le segretissime riunioni della società segreta risorgimentale e d’altra parte il clima risorgimentale era creato e sostenuto da un ritratto ad olio di Giuseppe Mazzini che ci sovrastava sulla testa e che guardava corrucciato un analogo, ad olio, ritratto di Giuseppe Garibaldi a Lui dirimpettaio, sulla parete opposta forse rimproverandolo ancora aspramente o bonariamente, nonostante gli anni trascorsi per aver regalato il meridione, dopo averlo liberato, agli odiati Savoia, tradendo e distruggendo il Suo sogno di una Italia unita, libera e repubblicana. Almeno così io ho sempre pensato guardando i ritratti.
Mina ci ha anche fatto indignare, quando ci ha raccontato del mellifluo, ma perentorio rifiuto, opposto dalla chiesa ai funerali religiosi, comunque da Piergiorgio, laico convinto, non voluti, ma
desiderati invece dalla madre di Lui, molto religiosa.”Sono contenta, perché Piergiorgio ha ottenuto anche questo”
Mina ci ha fatto rivivere, attraverso le Sue parole sempre serene, sempre moderate, sempre misurate il proprio dramma interiore, di donna e moglie di un uomo che voleva morire, ma che Lei si ostinava a convincere a sopravvivere, a continuare a lottare, a continuare a vivere…fino a quando ha dovuto arrendersi, ha dovuto convincersi, che la vita per Lui era divenuta veramente insopportabile e ha dovuto, ha voluto, aiutarlo a morire.
Mina ci ha raccontato dei Suoi momenti di intimità con Piergiorgio, delle notti insonni, delle ore, soprattutto notturne, trascorse in silenzio, tenendosi per mano.
Mina ci ha fatto assistere, raccontandoceli, agli ultimi momenti, istanti di vita di Piergiorgio, quando, a decisione presa si trattava di metterla in pratica nel modo migliore e più corretto possibile, quando Lo ha rassicurato che sarebbe morto con certezza: “Gli ho promesso che avrei abbassato la spalliera del letto, tenuta sempre sollevata per aiutarlo a respirare meglio”
Quando Mina ha terminato di parlare, di raccontare….mi son vergognato di dover prendere io la parola. Non c’era più nulla da dire.
Roma 31 Gennaio 2009
Domenico Mazzullo