Quando ci si riferisce e si nomina il termine di eredità, la mente vola, naturalmente, a beni economici, a beni materiali, che non ulteriormente fruibili da chi non è più, passano di diritto ai suoi eredi, innescando spesso lotte fratricide e squallidamente all’ultimo sangue, che non danno luogo a vincitori e vinti, come si conviene, ma esitano sempre con la sconfitta di tutti i contendenti, per l’egoismo e il materialismo che spesso dimostrano e manifestano.
Raramente, e di questi tempi direi rarissimamente si pensa ad un concetto diverso e molto più nobile di eredità, seppure molto meno comune e noto, ossia alla eredità spirituale, alla eredità morale, che una persona non più vivente materialmente, lascia dietro di sé ai Suoi allievi, ai Suoi amici, ai Suoi familiari, alle persone che lo hanno conosciuto e hanno avuto modo di scoprirne e apprezzarne il valore umano.
Ricordo un vecchio film di molti anni addietro in cui alcuni amici, avanti con gli anni piangevano addolorati la morte di uno di loro, improvvisamente scomparso.
Solo un ultimo amico, giunto in ritardo, ebbe in dono la capacità di pronunciare una di quelle frasi che nella loro semplicità e quasi ovvietà, colpiscono e vanno dritte al cuore: “ Noi piangiamo la sua scomparsa, la sua perdita, ma in fondo noi siamo più fortunati di tanti altri, perché abbiamo il privilegio di averlo conosciuto e di poterlo ricordare, nei momenti difficili, di potergli chiedere idealmente consiglio e conforto”.
Questa frase mi è rimasta impressa, stampata nella mente, perché io questo privilegio l’ho avuto, mi è stato donato, nei confronti di una Persona che ormai da molti anni non è più, ma è sempre qui presente, accanto a me, al mio fianco, nei momenti difficili, nei momenti di dubbio, quando il cammino si fa oscuro e sembra di aver smarrito la giusta via, quando un dilemma morale mi tormenta e quando imperiosa e angosciante si pone la domanda che più temo: “Che debbo fare?” Allora penso a cosa Egli farebbe al mio posto, a che consiglio mi avrebbe fornito in tale circostanza e sempre trovo una Sua risposta a soccorrermi.
Questa Persona, un Medico, un Chirurgo fu “adottata” da me come padre, quando giovane studente mi affacciavo agli studi di Medicina e Egli mi “adotto” come figlio e come tale sempre mi ha considerato.
Questa Persona mi ha insegnato ad essere un medico, ma soprattutto ha cercato di insegnarmi, non so se riuscendoci, ad essere un uomo, come Egli intendeva che un uomo dovesse essere.
Questa persona ha lasciato, ma non abbandonato, me, i Suoi pazienti, i Suoi amici, i Suoi familiari, nel lontano 1984, lasciando un vuoto incolmabile, rapito da un cancro al polmone che spettò proprio a me diagnosticarGli, ma è sempre presente tra noi, oggi, ancor più di prima, con il Suo insegnamento morale e umano, con il Suo esempio.
All’indomani della Sua morte, scrissi, per i Suoi familiari, una breve memoria, una paginetta, per ricordarlo, come io L’ho conosciuto, come il L’ho vissuto, per quello che Egli mi ha rivelato del proprio intimo, della propria interiorità.
Quella paginetta, letta ai legittimi destinatari, è poi rimasta sempre chiusa nel mio cassetto, fino ad oggi, quando, avendo raggiunto una età che Egli non raggiunse, la consegno a Voi, incauti lettori, perché Vi parli di Lui, Che non avete conosciuto e del Suo amore per i libri:
QUANDO UN LIBRO MI CHIAMA
Pur non essendo uno psichiatra, bensì un chirurgo, il mio Maestro, Colui che mi ha insegnato ad essere Medico, ed attraverso questo anche a vivere, era una Persona strana, o meglio cosi appariva a me, allora studente poco più che ventenne affascinato ed intimorito dalla Sua abilità professionale e dalla profonda Umanità che Lo distingueva da tanti altri.
Ora Egli non è più fisicamente, ma continua ad esistere dentro di me, nel mio ricordo e nella mia gratitudine, per quanto mi ha insegnato ed ancora mi insegna e suggerisce, quando con il pensiero a Lui mi rivolgo, nei momenti difficili, e di dubbio; ma a distanza di anni, con un poco più di maturità ed esperienza acquisite grazie ai Suoi insegnamenti, ed essendo divenuto uno psichiatra, quelle Sue stravaganze e bizzarrie di pensiero e di comportamento, che si perdonavano e si giustificavano facilmente ad una Persona di genio, non mi appaiono più come tali, ma anzi piuttosto l’espressione e la testimonianza di una profonda e vissuta saggezza, di un rapporto con la esistenza, con la vita e con il mondo, diverso e superiore al comune ed all’usuale.
Ricorderò sempre quella volta che, recandoci assieme dall’ospedale in clinica ad operare, ed accingendoci ad utilizzare la Sua vecchia automobile che per gli anni, chiunque altro avrebbe già sostituito da tempo, ma Lui si ostinava a conservare quasi che fosse una persona di famiglia, questa ultima ingrata ed irriconoscente per tante attenzioni, rifiutava irrimediabilmente di mettersi in moto permettendoci, come suo dovere, di recarci a destinazione.
Grande fu il mio stupore quando vidi Lui, non arrabbiarsi, inveire, affannarsi in inutili quanto disperati tentativi, dire parolacce, aprire i1 cofano per guardarci dentro, spingere, o chiedere aiuto, come invece naturalmente avrei fatto io, ma invece iniziò ad accarezzare il volante dell’automobile con attenta ed affettuosa delicatezza, lentamente, come si farebbe con il capo di un bambino. Vedendo le sue mani, che facevano miracoli, nei corpi aperti dei pazienti operati, spesso per devastanti malattie, scorrere invece con altrettanta sollecitudine lungo quell’oggetto inanimato, dubitai per la prima volta della Sua salute mentale, ed i miei dubbi e preoccupazioni si accrebbero, quando lo udii addirittura parlare con l’automobile: «Non ti preoccupare – le diceva – io ti capisco, sei stanca, hai lavorato tanto e vorresti riposare, ma devi comprendere, tu sei l’automobile di un medico e come tale hai delle responsabilità particolari, superiori a quelle di tutte le altre; se io fossi un impiegato qualsiasi potrei telefonare in ufficio ed avvisare che oggi non vado, perché l’auto non mi parte, e tutto si risolverebbe, così facilmente, ma purtroppo io sono un medico, ed in clinica mi attende un malato molto grave che deve assolutamente essere operato, subito, altrimenti morirà; cerca di comprendere».. Inserita la chiave di accensione e fattala ruotare, la macchina parti immediatamente. Per nulla sorpreso o spaventato, l’Autore di questa magia o di questo miracolo, come a me appariva, si diresse di gran carriera verso la clinica, non prima di aver ringraziato calorosamente ed affettuosamente colei che gli permetteva di compiere il proprio dovere. Ricordandosi, ad un certo punto del tragitto, della mia presenza, che si era fatta attonita e silenziosa, ritengo, si sentì in dovere di fornirmi delle spiegazioni ed insegnamenti su quanto era poc’ anzi accaduto, consegnando nelle mie mani di inesperto, incapace ed inabile aspirante alla vita, delle perle di saggezza, frutto della Sua esperienza, il cui valore scopro solo ora, che Egli non è più:
«Vedi caro – mi disse con aria accondiscendente e naturale, – le cose, gli oggetti che ci circondano, che ci appartengono e di cui ci serviamo tutti i giorni, senza prestar loro attenzione, e dimenticandoli, non appena cessano di essere utili, non sono inanimati, come la maggior parte di noi crede, ma hanno un’anima, dei sentimenti, delle passioni come noi, vivono, gioiscono e soffrono esattamente come noi».
«Sono felici quando noi li amiamo, li utilizziamo, e li apprezziamo nel loro lavoro, soffrono invece quando li dimentichiamo da una parte, quando non li facciamo vivere accanto a noi e con noi, quando non ci rendiamo conto dei loro sforzi e delle loro fatiche per renderci la vita più facile ed a volte addirittura possibile». «Essi vivono attraverso di noi e per noi, e noi spesso, per tutta risposta, ci dimentichiamo di loro e li consideriamo addirittura oggetti, senza anima né vita propria».
«Pensi per esempio che la macchinetta del caffè non sia felice di essere il primo oggetto che tu utilizzi dopo il risveglio e con il quale apri la giornata?^». «E lo spazzolino da denti?». «E il giornale al quale immediatamente chiedi il resoconto di quanto è avvenuto nel mondo mentre tu dormivi?». «Non pensi che sia felice nel comunicarti notizie liete che ti rallegrano, e al contrario triste e cupo quando con circospezione ed ansiosa attenzione ti annuncia la morte di qualcuno che conoscevi e forse amavi?». «E non pensi che forse qualche volta ti nasconda appositamente ed accuratamente notizie troppo spiacevoli per esserti immediatamente annunciate, e che nella tua ingenua superficialità, credevi di esserti lasciato sfuggire?». «lo so per certo che i1 mio bisturi è orgoglioso di salvare delle vite umane, di asportare e tagliare via da queste, quei tumori che altrimenti le ucciderebbero devastandole orribilmente, ed alla fine dell’intervento, dopo aver ringraziato voi tutti collaboratori, l’anestesista, la strumentista e gli infermieri, ringrazio Lui, il protagonista, primo artefice del successo, ma in silenzio naturalmente, perché altrimenti mi prendereste per pazzo e non mi permettereste più di operare».
«Lo stesso avviene al mattino, quando innanzi al guardaroba, giaccio, indeciso sull’abito da indossare e attendo che sia uno di questi a scegliermi, e non piuttosto io a scegliere lui, attendo di percepire la sua voce, flebile, perché essi parlano piano, timidamente, come tutte le cose, che mi sussurri, quasi mi bisbigli che oggi è il suo giorno, che oggi tocca a lui, di essermi vicino e confortarmi con la sua presenza ed il suo accogliente abbraccio».
«Ma sempre, questo mi accade con I libri, con i quali vi è naturalmente un rapporto più personale, più intimo, superiore a quello che si stabilisce con molti esseri umani, più profondo e coinvolgente e legato a quanto essi mi danno e mi insegnano sempre».. «Essi sono amici fedelissimi, e quando la sera torno a casa, spesso stanco ed amareggiato dalle brutture della vita di fuori, sono felice di trovare sempre uno di loro ad accogliermi ed a consolarmi, attendendomi sul comodino».
«Quando termino di leggerne uno, e sono imbarazzato nello sceglierne un altro dalla mia biblioteca cui affidare l’ingrato compito di farmi compagnia ed alleviare la tristezza delle mie ore di solitudine, non faccio altro che pararmi immobile davanti a questi schierati in bell’ordine come soldati, negli scaffali e attendo che uno mi chiami, allora sono certo di aver scelto quello giusto, di leggere il libro di cui avevo bisogno in quel preciso momento». «E’ un metodo che non fallisce mai».
Caro Dottor S, ripenso spesso alle Sue parole, e La ricordo sempre nei momenti difficili della mia vita quando idealmente Le chiedo lumi, ma La vedo al lato mio, sempre, vicino a me, quando un libro mi chiama”.
Credo, che quelle famose sigarette “con il filtro”, di questo accessorio inspiegabilmente deprivate, prima di essere consumate in voluttuose boccate di fumo, quelle sigarette “Nazionali”, che Lei orrendamente mutilava, asportando loro, inspiegabilmente per me, il filtro, prima di fumarle, si sono, alla fine vendicate, producendoLe quel cancro al polmone, che L’ha sottratta a noi; ma in fondo, e meno egoisticamente, penso, che forse abbiano avuto pietà di Lei, sottraendoLa ad un mondo e ad una società che produce oggetti “usa e getta”, alla quale non si sarebbe mai adattato; proprio Lei, che vedeva l’anima delle cose.
Ora nel rileggere queste righe, dimenticate in un cassetto, a distanza di tanti anni, ancora provo emozione e commozione ricordando quei tempi ormai lontani, ma sempre vividi e presenti nella mia memoria e nei miei affetti.
Ciò che Egli mi ha donato, mi ha insegnato, in ambito professionale e non professionale, in ambito umano è sempre con me, chiaro, netto ed evidente, ma forse di un dono importantissimo, non mi resi conto sul momento, nel momento in cui mi fu consegnato, ma mi rendo conto solo oggi, a distanza di anni dalla Sua scomparsa: l’amore quasi religioso, la venerazione sacra nei confronti dei libri, i Suoi compagni di vita più fedeli, più insostituibili, gli amici che non tradiscono mai, che sono sempre presenti quando hai bisogno, quando cerchi un conforto, quando desideri una parola che ti illumini il cammino, che ti sciolga un dubbio che ti assilla e che ti rende le notti insonni.
Egli che vedeva l’anima delle cose e le considerava esseri viventi e forse anche animati, capaci di vita propria e autonoma, di sentimenti, di emozioni, di tristezze profonde e gioie sublimi, considerava i libri, tra queste, primi inter pares, dotati di una vita e di una dignità superiore, capaci di una doppia, anzi tripla anima, quella loro propria, ma anche quella di chi li aveva scritti, donandoli a noi ed in ultimo quella di chi li aveva letti, possedendoli ed amandoli.
Per questo motivo e certo non per egoismo e desiderio di possesso, non imprestava mai i suoi libri, perché le anime non si confondessero, ma casomai li regalava, perché alle prime se ne aggiungesse un’altra, quella del fortunato destinatario del Suo dono.
Con questo spirito, per questo motivo e con questa finalità, conoscendo la mia passione per Giuseppe Mazzini e la Sua Opera, mi donò un giorno la Sua copia de “I Doveri dell’Uomo”, a sua volta donataGli dal padre, quando era adolescente.
Solo oggi, tardivamente, mi rendo conto della preziosità del dono e del profondo significato intrinseco in esso contenuto.
Egli che del Dovere aveva fatto una ragione di vita, mi donava il libro che meglio lo rappresentava, perché da questo imparassi.
Un ideale passaggio del testimone, in una ideale corsa, o meglio percorso a staffetta, nel quale ogniuno di noi è chiamato a fare la sua parte, a giocare il proprio ruolo, a compiere il proprio dovere, nei compiti che la vita gli assegna.
Assieme al Libro, entro il Libro una lettera, vergata a mano con la Sua scrittura minuta che ben conoscevo, avendola vista tante volte, un Suo messaggio, forse un Suo testamento spirituale a me rivolto:
“Spesso, ahimè, si pensa a Giuseppe Mazzini, come ad un personaggio storico, lugubre, ascetico, poco pratico, sempre vestito di nero, artefice assieme ad altri del nostro Risorgimento e della nostra Unità d’Italia. Tutto ciò è senza dubbio vero, ma si farebbe un torto enorme alla Sua memoria e al Suo significato, se Lo si relegasse nei libri di Storia, nel capitolo Risorgimento.
La Sua presenza, la Sua importanza, la Sua indispensabilità, nel cammino della Umanità, va ben oltre, travalica ampiamente quanto, seppur vero, poc’anzi detto.
Giuseppe Mazzini è presente e vivo tra noi, ogni qual volta si pronuncia la parola “Dovere”, ogni qual volta questa magica parola, che spaventa e terrorizza per la sua enorme responsabilità, viene pronunciata da chiunque, grande o piccolo, adulto o bambino, importante o poco importante, ma tutti siamo, in fine, importanti comunque, ogni qual volta nella nostra coscienza, in silenzio, o a gran voce, sorge spontanea e imperiosa la domanda: “Quale è il mio dovere?”. E spesso stentiamo a dare una risposta.
La gente pensa che sia difficile fare ciò che è giusto. Non è difficile fare quello che è giusto. Difficile è sapere, cosa è giusto fare. Quando si sa, cosa è giusto, è difficile non farlo”.
In questo, proprio in questo, consiste la grandissima attualità di Giuseppe Mazzini.
Egli non ci rivela, non ci comunica, non ci impone cosa sia giusto.
Egli ci insegna a ragionare su cosa sia giusto, ci insegna a sentire cosa sia giusto, ci suggerisce di trovare, col nostro libero pensiero, cosa sia giusto, in totale autonomia e nella solitudine di noi stessi.
Ci consegna intera la responsabilità della risposta a questa domanda, a questo interrogativo.
Forse non aveva letto le opere di Giuseppe Mazzini, forse non le conosceva neppure, ma certamente aveva compreso, aveva deciso entro di sé, cosa fosse giusto, Salvo D’Acquisto e con Lui tutti coloro i quali, postisi l’interrogativo di quale fosse il proprio dovere, lo hanno compiuto.
In una società quale quella attuale, in cui i principi di riferimento, gli ideali, sembrano, sono persi, in cui ogniuno persegue il proprio bene materiale, incurante degli altri e dei propri doveri, in cui siamo accecati dalla sete di guadagno a tutti i costi, suona quasi anacronistico ma indispensabile il motto di Giuseppe Mazzini in questo Libro Che ti consegno e ti affido:
“Ciascuno può legittimamente reclamare i propri diritti, solo nel momento in cui sia assolutamente sicuro di aver compiuto i propri doveri”.
Molte volte ho preso in mano questa lettera, molte volte in questi anni l’ho riletta, sempre con emozione e grande commozione, ogni qual volta la vita mi ha proposto l’interrogativo perentorio di cosa fosse giusto fare, di quale fosse il mio dovere.
Un ultimo pensiero, che oggi mi conforta, nel dolore sempre vivo per la Sua scomparsa, mai assenza: in un mondo e in un’epoca che prospetta, che sogna, che preannuncia la scomparsa dei libri cartacei, con il loro profumo, le loro pagine ingiallite dal tempo, le loro copertine colorate. maneggiate dalle mani di tanti lettori, le dediche di chi li ha donati, pensando di barattarli, di sostituirli con asettici ed impersonali libri elettronici, Lei dottor S. non sarebbe sopravvissuto al dolore, allo sdegno, alla delusione, allo sgomento, di non poter più accarezzare, con le Sue mani preziose un libro vero, il Suo libro, che in quel momento lo avesse “chiamato” per essere da Lei letto.
Forse la morte è stata pietosa nell’averLa sottratta, nell’averLa risparmiata a questo dolore.
Domenico Mazzullo