Ritengo sia necessario richiamare alla mente alcune definizioni e concetti generali sui quali basarci nella nostra esposizione.
Memoria: secondo una definizione comune ed accettabile, essa rappresenta quel processo cerebrale che permette l’archiviazione delle informazioni acquisite.
Mi permetto di omettere la descrizione dei meccanismi cellulari, molecolari e biochimici attraverso i quali questo processo avviene, in quanto non credo possano interessare il lettore e appesantirebbero inutilmente un discorso che ha invece altre finalità ed interessi.
Mi preme invece ricordare che concordemente si distinguono due tipi fondamentali di memoria:
una memoria a breve termine, che elabora le informazioni di cui siamo consapevoli, momento per momento e una memoria a lungo termine, che conserva le informazioni per lunghi periodi di tempo.
Questi due tipi di memoria hanno caratteristiche e funzioni diverse.
La memoria a breve termine ha una capacità di immagazzinamento delle informazioni molto limitata nello spazio e soprattutto nel tempo, in quanto queste poche informazioni immagazzinate, se non vengono trattenute e trasferite nella memoria a lungo tempo, sono irrimediabilmente perse in quanto vengono sostituite da sempre nuove informazioni che ne prendono il posto.
La memoria a lungo termine ha una capacità enorme di immagazzinamento di informazioni, praticamente pressoché illimitata nello spazio e nel tempo in quanto il mantenimento delle informazioni stesse può anche considerarsi perenne.
Per complicare i concetti, gli studiosi che si occupano di memoria hanno introdotto anche nuovi termini, quale quello di memoria di lavoro, in pratica pressoché sovrapponibile a quello di memoria a breve termine.
Una ottima descrizione sintetica ma chiara dei processi mnestici è quella prodotta da Massimiliano Mancini in un Suo articolo pubblicato il 25-08-2008 e che riporto in parte :
”La memoria è quella funzione psichica (funzione mestica) che consente l’assimilazione, la ritenzione ed il richiamo di informazioni apprese durante l’esperienza. Ogni azione o condotta umana ed animale utilizza necessariamente la memoria.
I ricordi sono definiti tracce mestiche e possono avere varie forme e funzioni, percezioni sensoriali (immagini, suoni, calore, sensazioni tattili, odori, sapori, stati d’animo, ecc.), conoscenze ed abilità (competenze tecniche e culturali, nozioni, modi d’uso, ecc.), relazioni che legano altre informazioni (successione cronologica di eventi ed immagini, posizione e orientamento di oggetti, ecc.).
Endel Tulving ha classificato la memoria nelle seguenti categorie:
- Memoria implicita, è quella incosciente, dove l’informazione non
si manifesta per ricordo, ma influenzando un comportamento senza che il
soggetto ne sia cosciente; essa si suddivide a sua volta in:
- Memoria procedurale che consente di imprimere uno script per fare le cose automaticamente o in maniera semi-automatica, come andare in bicicletta, digitare su una tastiera.
- Memoria associativa che consiste nell’associazione di uno stimolo ad un comportamento anche senza il ricordo cosciente che spinge a fare l’associazione.
- Memoria esplicita, è quella nella quale i ricordi sono coscienti
(sebbene anche influenzabili) e si manifestano per l’appunto in forma
esplicitabile. Si suddivide in:
- Memoria episodica ha una collocazione spazio-temporale e riguarda gli avvenimenti legati alla nostra vita.
- Memoria semantica riguarda la conoscenza del mondo, il ricordo del significato di parole e concetti e, più in generale, informazioni che non hanno una prospettiva spazio-temporale, come i concetti astratti.
Si definisce fissazione il processo di ritenzione dell’informazione nella memoria; quando non si riesce più a ricordare un evento si dice che il ricordo è entrato in oblio.
I processi mnestici fondamentali sono di tre tipi:
– Acquisizione e codificazione, recepimento dello stimolo e traduzione in rappresentazione interna stabile e registrabile in memoria. Lavoro di categorizzazione ed etichettatura legato agli schemi e alle categorie preesistenti.
– Ritenzione ed immagazzinamento. Stabilizzazione dell’informazione in memoria e ritenzione dell’informazione stessa per un determinato lasso di tempo.
– Recupero. Riemersione a livello di consapevolezza dell’informazione prima archiviata, mediante richiamo o riconoscimento (la vedo e ricordo di averlo visto, è il modo più semplice per recuperare).
Come ha spiegato Hermann Ebbinghaus, autore delle prime importanti ricerche
sulla memoria (XIX secolo), ci sono due modi principali per ricordare:
- La rievocazione si ha, quando si richiama alla mente ciò che è stato appreso e immagazzinato senza alcun aiuto.
- Il riconoscimento invece è la capacità di ricordare e identificare un determinato elemento, scegliendolo tra altri.
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Per il nostro scopo la nostra attenzione deve focalizzarsi necessariamente sulle caratteristiche, proprietà ed organizzazione della memoria a lungo termine.
Come abbiamo detto la memoria a lungo termine ha una capacità di immagazzinamento delle informazioni praticamente illimitata e le informazioni possono risiedervi per un tempo indefinito.
La memoria a lungo termine possiede una propria organizzazione interna secondo la quale le tracce mnestiche vengono associate tra loro in base a sue categorie e queste associazioni vengono utilizzate per immagazzinare nuove informazioni provenienti dall’esterno.
Questo fa sì che ognuno di noi, di uno stesso evento possa ricordare aspetti diversi, a seconda delle sue conoscenze precedenti.
I contenuti della memoria a lungo termine non sono quindi tra loro indipendenti, ma sono organizzati in base a certe proprie caratteristiche.
Il cervello però non raggruppa le immagini, i suoni, gli odori, ossia tutto ciò che fa parte di un ricordo, in una unica sede di sé stesso, ma distribuisce la memoria in aree differenti, da risvegliare e recuperare all’occorrenza.
Ciò vuol dire che le memorie sono per la maggior parte inframmischiate nel senso che un “evento” è associato a tanti ricordi differenti che a loro volta coinvolgono altri ricordi memorizzati in tempi e luoghi diversi.
Non possiamo parlare di memoria, ossia la capacità di ricordare, senza pensare al suo negativo, ossia la capacità anche di dimenticare, altrimenti detto oblio.
Si sono cercate e formulate varie spiegazioni per il fenomeno dell’oblio per quanto riguarda la memoria a lungo termine.
La prima e la più ovvia è quella del disuso secondo cui i ricordi si deteriorano naturalmente con il trascorrere del tempo, se non vengono utilizzati. Una spiegazione alternativa è quella della interferenza secondo la quale nuovi ricordi interferirebbero in vari modi con quelli già immagazzinati, provocandone l’erosione e la soppressione.
Si distinguono due tipi di interferenza, quella proattiva e quella retroattiva. Si parla anche di “inibizione proattiva” e “inibizione retroattiva”.
Con il termine di interferenza o inibizione proattiva si intende che i ricordi più vecchi interferiscono con l’apprendimento di nuove informazioni. Viceversa l’interferenza retroattiva si ha quando le nuove informazioni apprese impediscono la rievocazione di vecchi ricordi.
L’interferenza retroattiva è un fenomeno frequente nella testimonianza oculare.
Il materiale presentato successivamente all’episodio di cui si è stati testimoni interferisce sulla corretta rievocazione dell’evento cui si è assistito.
In realtà il fenomeno della interferenza retroattiva non va spiegato con una perdita della traccia, del ricordo, ma con il fatto che la interferenza retroattiva impedisce il richiamo e quindi si tratterebbe di una difficoltà di accesso.
Questo discorso sulla memoria e sulle sue caratteristiche peculiari, non è certo esauriente, ma è volutamente limitato a quanto specificatamente ci interessa, ossia la stretta relazione intercorrente tra testimonianza e memoria.
Illuminante da questo punto di vista per la sua lucidità e chiarezza è l’articolo pubblicato dal Dott. Danilo Panico, Maggiore dei Carabinieri e Insegnante di Psicologia Applicata presso la Scuola Ufficiali Carabinieri, “L’esame dei testimoni e della vittima di un reato. Aspetti psicologici”, articolo di cui riporto alcune parti che più da vicino ci riguardano:
“Come abbiamo già accennato, il contenuto della testimonianza è strettamente legato a come le persone ricordano l’evento che hanno visto o vissuto e, ovviamente, alla loro decisione di raccontare o meno quanto accaduto. Ma per i limiti e le peculiarità di funzionamento della memoria umana, anche nel caso in cui la persona decide di collaborare e raccontare tutto ciò che ricorda, una testimonianza non potrà mai essere “totalmente” attendibile, nel senso che non ci potrà mai essere una perfetta corrispondenza, una completa sovrapposizione, tra l’evento e quanto viene raccontato. La memoria è, infatti, frutto di un processo di tipo prevalentemente ricostruttivo. Essa cioè non è, come comunemente si pensa, semplicemente un contenitore dove basta andare a ripescare le fotografie, i filmati, le copie, degli eventi accaduti, ma è un processo attivo di elaborazione delle informazioni, dove quest’ultime vengono selezionate, codificate ed integrate, attraverso la conoscenza già posseduta dal soggetto, sia consapevolmente (in modo da immagazzinarle in maniera logica, coerente, come avviene ad esempio quando studiamo) sia inconsapevolmente (e in tale processo concorrono interferenze esterne, forti stati emotivi e stress). Queste operazioni spesso possono alterare la percezione dell’evento e dei fatti accaduti in modo da renderli assai diversi da ciò che accade realmente. Questo spiega come anche un testimone oculare intenzionato a collaborare possa dare involontariamente un resoconto diverso dal reale svolgimento dei fatti.Quella che noi chiamiamo memoria è, quindi, in realtà, un processo complesso, reso possibile da tre cosiddetti “magazzini” (il Registro Sensoriale, la Memoria a Breve Termine e la Memoria a Lungo Termine), che elaborano e conservano l’informazione con modalità e caratteristiche spazio-temporali diverse tra di loro: il Registro Sensoriale (RS) contiene, per un tempo brevissimo (500-2000 m/s), l’informazione proveniente dagli organi di senso, catturata e trattenuta nel suo formato originale (visiva, olfattiva, tattile, uditiva); la Memoria a Breve Termine (MBT) ha una capacità piuttosto limitata (si parla di circa 7 unità di informazione) e mantiene l’informazione per un tempo massimo di circa 30 sec.; e infine, l’ultimo magazzino, la Memoria a Lungo Termine (MLT) ha una capacità spaziale e temporale potenzialmente illimitata (vedi fig. 1). Come avviene il processo? Gli stimoli fisici che arrivano dall’ambiente esterno vengono percepiti attraverso i sensi, codificati sommariamente dai registri sensoriali in tracce mnestiche e trattenuti per pochi istanti. Le tracce mnestiche passano in MBT che le sottopone ad un processo di ripetizione continua per permettere alla memoria di lavoro (ML) di selezionare i dati rilevanti ed elaborarli assegnando loro un significato attraverso la conoscenza generale fornita dalla MLT. La memoria di lavoro (ML) è chiamata così perché responsabile del lavoro cognitivo effettuato dal soggetto nell’attività di comprensione. Il problema di questa fase è costituito dal fatto che la qualità dell’elaborazione dipende, oltre che dalla complessità dei dati, dal numero di ripetizioni dell’informazione effettuato dalla MBT: nella ML, infatti, la traccia è soggetta a decadimento, in funzione diretta al tempo trascorso e inversa al numero di ripetizioni della traccia stessa (Gulotta, 2000). L’informazione, elaborata dalla ML, passa alla MLT. Questa viene distinta in: – memoria autobiografica, che contiene tutte le informazioni relative alla nostra identità e alla nostra storia passata;- memoria episodica, che contiene le informazioni specifiche riferite ad eventi ed episodi chiaramente collocabili nel tempo e nello spazio;- memoria semantica, che comprende la conoscenza concettuale e linguistica delle informazioni ed è organizzata in strutture di tipo generale connesse tra loro, sotto forma di schemi o scripts (copioni), che consentono di riconoscere i singoli dati ed eventi della realtà e di attribuire loro un significato;- memoria procedurale, che comprende la conoscenza di procedure e regole relative al “come” operare; è questo tipo di conoscenza che consente di mettere in atto tutta una serie di azioni motorie e mentali. Il rapporto tra i vari tipi di memoria a lungo termine è molto articolato, in quanto ognuna contribuisce alla formazione e modificazione dell’altra. Per questo motivo possiamo dire che la memoria è dinamica e non statica: ogni evento, in senso cognitivo, modifica la struttura della conoscenza, per cui il ricordo che abbiamo noi ora di un fatto non sarà mai uguale a come a suo tempo abbiamo percepito quel fatto. E non solo perché nel corso del tempo il ricordo è cambiato, ma anche perché a loro volta sono mutate le stesse strutture conoscitive che permettono di richiamarlo alla memoria (Gulotta, 2000). Tutti gli studiosi sono concordi nel sostenere che questo processo si svolge fondamentalmente in tre fasi: – la fase di acquisizione o codifica (mediante la quale il soggetto percepisce e codifica le informazioni provenienti dall’esterno); – la fase di ritenzione o mantenimento (durante la quale il soggetto conserva in memoria le informazioni acquisite); – la fase di recupero dell’informazione (durante la quale il soggetto recupera l’informazione da dove era conservata). Questa ultima fase può avvenire attraverso la rievocazione o il riconoscimento. La rievocazione consiste nel richiamare alla mente la traccia mestica e dipende dalla accessibilità della traccia stessa da parte della memoria di lavoro. Pur essendo infatti nella maggior parte dei casi la traccia disponibile, cioè presente nella MLT, non è detto che sia anche accessibile; ciò dipende dalla capacità di recuperare lo schema attraverso cui l’evento originario era stato memorizzato. Nel riconoscimento, invece, vengono forniti al soggetto degli stimoli e gli si chiede se li riconosce. In genere quest’ultimo è considerato come un compito più facile rispetto alla rievocazione, in quanto c’è uno stimolo esterno che guida il soggetto nel recupero dell’informazione (vedi fig. 2). In ognuna di queste fasi del processo (fase di acquisizione o codifica, fase di ritenzione o mantenimento e fase di recupero) intervengono numerosi fattori che possono influenzare notevolmente i ricordi e limitare di conseguenza l’attendibilità della testimonianza.
Quali sono questi fattori? Sono diversi. Alcuni sono legati all’evento, altri sono legati al testimone e alle sue caratteristiche e altri ancora sono da ricondurre alla memoria e alle modalità con cui avviene il recupero. Tra i fattori legati all’evento, che possono incidere già nella fase di acquisizione alterando la percezione del testimone, ci sono:- il tempo di esposizione: perché la percezione possa essere corretta, il tempo di esposizione deve essere sufficientemente lungo, almeno 20 secondi; maggiore è il tempo di esposizione allo stimolo, migliore è l’accuratezza;- la salienza dei dettagli: quando si assiste ad un evento alcuni particolari colpiscono maggiormente l’attenzione (ad esempio un colore che spicca rispetto agli altri, qualcosa di inusuale o di nuovo), anche se a volte sono meno importanti di altri ai fini della testimonianza. Un fenomeno che è stato molto studiato è il cosiddetto weapon effect (effetto arma), per cui si verifica che una persona, minacciata da un’arma, ricorda molto bene l’arma, ma ha un ricordo molto vago e poco accurato dell’aggressore, del suo volto o di altri elementi dell’episodio (Loftus, 1979), proprio perché l’attenzione, anche senza che la persona lo voglia, viene spostata in modo quasi esclusivo sull’arma e quindi solo questo elemento viene codificato e poi ricordato. Per quanto riguarda la percezione del volto anche se avviene in modo “gestaltico”, in quanto viene percepito nella sua globalità e non attraverso i singoli particolari, si è visto che vengono meglio percepiti e quindi successivamente meglio ricordati volti atipici, o particolarmente piacevoli o spiacevoli, mentre quelli più comuni non stimolano un’attenta osservazione;- la violenza dell’evento: quando si tratta di testimoniare riguardo a un fatto molto violento la performance peggiora. Questo è dovuto probabilmente alla grande quantità di stress presente al momento del fatto. Tra i fattori legati al testimone ci sono:- l’età del testimone: per quanto riguarda i minori, a 12 anni la capacità di testimoniare è simile a quella dell’adulto. Sotto questa età le capacità dei bambini sono inferiori a quelle degli adulti solamente in relazione alle strategie più complesse di elaborazione di eventi. Così la memoria di fatti che non richiedono particolari strategie di codificazione non varia con l’età. Se in generale quindi si può affermare che i bambini siano buoni testimoni quanto alla percezione dell’evento, il problema principale della loro attendibilità riguarda soprattutto il ruolo delle informazioni post-evento e il contesto entro cui avviene l’interrogatorio e/o la testimonianza. Per quanto riguarda gli anziani, l’efficienza delle facoltà sensoriali in generale diminuisce con il processo di invecchiamento, sia per quanto riguarda la vista che l’udito. Lo stesso accade alle capacità attentive e mnestiche. La maggior parte delle difficoltà mnestiche degli anziani si riferiscono ai meccanismi di immagazzinamento e recupero, le capacità di rievocazione risultano più danneggiate di quelle di riconoscimento (Gulotta, 2000); – lo stress: lo stato emotivo vissuto dal soggetto nel momento in cui percepisce l’evento è sicuramente un evento di primaria importanza. La maggior parte delle volte il testimone vive una situazione di stress e paura. Più un evento aumenta lo stress del testimone più una corretta percezione sarà compromessa. Un forte stress emotivo toglie alla fase di immagazzinamento energie e attenzione necessarie per cogliere il maggior numero di informazioni possibili, e convoglia queste risorse sul controllo o sullo sfogo delle emozioni. Si spiega in questo modo il caso di vittime che fanno fatica a riconoscere lo stupratore. Lo stress determina anche un restringimento del campo di attenzione e un focalizzarsi solo su alcuni particolari con peggioramento dell’accuratezza percettiva globale. Un fenomeno di questo tipo è quello, già descritto, del weapon effect dove l’attenzione è catturata dall’arma al punto da non fare vedere altri elementi presenti sulla scena. Secondo la legge di Yerkes-Dodson, la relazione tra arousal (stimolazione, eccitazione fisiologica) e prestazione cognitiva è una “U” rovesciata, cioè ad una condizione di arousal troppo alto o troppo basso corrisponde una prestazione cognitiva peggiore, mentre un arousal medio dà una prestazione migliore. Quindi anche un livello molto basso di attivazione emotiva, non solo quello molto alto, porta ad un peggioramento della percezione compromettendo una buona ricostruzione dell’evento in fase di recupero dell’informazione. Le prestazioni migliori si hanno invece quando vi è un livello ottimale di attivazione, cioè un livello intermedio;- la conoscenza generale posseduta: serve a comprendere e dare significato agli eventi, attraverso la selezione, la codifica e l’elaborazione dell’informazione. L’evento tende ad essere classificato, interpretato, secondo gli schemi generali posseduti che distorcono il fatto originario per renderlo comprensibile. Così si aggiungono dettagli per colmare vuoti e si eliminano le informazioni che contraddicono la propria conoscenza generale (Gulotta, 2000); – gli stereotipi, i pregiudizi personali, le aspettative culturali: comportando l’attribuzione di un tratto, o una caratteristica, a tutti i membri di un gruppo e anticipando anche inconsapevolmente ciò che si percepisce possono seriamente contaminare la percezione di un evento. è famoso l’esperimento in cui i soggetti devono riportare quanto hanno visto in una scena ambientata nella metropolitana di New York (Loftus, 1979). Molte persone sono sedute, un uomo di colore è in piedi e indossa giacca e cravatta, a fianco un secondo uomo, bianco, tiene in mano un rasoio. I soggetti a cui era stata mostrata questa scena dovevano raccontarla ad altri soggetti e questi ultimi ancora ad altri. Il racconto finale, in più della metà dei casi, indicava che era l’uomo di colore, e non l’uomo bianco, ad impugnare il rasoio (Cavedon e Calzolari, 2001).I fattori generali legati alla memoria, sono:- il tempo intercorso tra la fase di acquisizione e quella di recupero: in generale, all’aumentare della distanza di tempo tra evento e ricordo, questo peggiora progressivamente. Diversi studi hanno visto che col passare del tempo è più probabile che i ricordi subiscano delle distorsioni o si inseriscano delle informazioni sbagliate senza che il soggetto se ne renda conto;- la ripetizione del ricordo: maggiore è il numero di volte che un evento viene ricordato migliore è il ricordo in generale, anche se ogni volta vengono aggiunti o tolti particolari e l’evento originario tende ad essere distorto;- le informazioni post-evento: lettura di giornali, parlare dell’accaduto con altri testimoni, percezioni e giudizi di altre persone che vengono a contatto con il soggetto, comunicazione non verbale di chi conduce l’interrogatorio, inducono inconsapevolmente a rimaneggiare il ricordo con i particolari acquisiti successivamente all’evento ed a integrarli, distorcendo il ricordo originario. Fattori legati alla modalità di recupero ed alle caratteristiche del testimone, sono:- il tipo di domande: la memoria può essere alterata dal tipo di domande poste da chi esamina il testimone. Le domande fortemente suggestive, fuorvianti, che contengono informazioni non vere, fanno sì che queste informazioni sbagliate vengano inconsapevolmente incorporate nei ricordi del testimone diventandone parte integrante, alterando definitivamente la memoria dell’evento (Cavedon e Calzolari, 2001). Già nella metà degli anni ’70 Elizabeth Loftus, aveva condotto degli studi in cui dimostrava che, se si forniscono commenti verbali riguardanti una figura presentata precedentemente, le informazioni verbali potevano modificare la memoria visiva della figura. In uno di questi famosi esperimenti, ad esempio, venivano presentate ad alcuni soggetti una serie di diapositive relative ad un incidente stradale. Le diapositive illustravano una situazione in cui un’auto blu era passata ad uno stop e si era scontrata con un’altra auto proveniente da destra. Qualche tempo dopo ai soggetti venivano fatte domande relative alle diapositive viste e ad un gruppo di soggetti in alcune domande si inserivano informazioni sbagliate. Ad esempio si diceva che l’auto era verde oppure che il segnale era un segnale di diritto di precedenza. I soggetti che avevano ricevuto l’informazione sbagliata nel corso dell’intervista ricordavano cose diverse rispetto a quelli che non avevano ricevuto informazioni sbagliate (o ricordavano che la macchina era verde, o che il segnale era un diritto di precedenza o non erano in grado di dire di che colore fosse la macchina). Risultati come questi sono stati ottenuti in centinaia di lavori e molti di questi studi sono stati applicati a situazioni di vita quotidiana. Nella maggior parte delle situazioni, il presentare l’informazione errata successiva ha avuto lo stesso effetto: produceva una distorsione nella memoria, la maggior parte dei soggetti o ricordava meno o ricordava l’informazione errata presentata successivamente (Mazzoni, 2000). Questo fenomeno per cui il ricevere l’informazione sbagliata porta in qualche modo a modificare il ricordo di un evento vissuto è noto come misinformation effect (effetto disinformazione, effetto informazione sbagliata). Bisogna quindi porre molta attenzione nel modo di porre le domande quando si conducono colloqui, interviste o interrogatori per esaminare un testimone. Vedremo, nel paragrafo relativo alle regole da seguire per ottenere una testimonianza valida i suggerimenti che ci vengono dalla ricerca psicologica e dall’esperienza maturata in Gran Bretagna nel settore, dove una commissione incaricata dal Ministero dell’Interno nel 1992 ha prodotto un vero e proprio manuale che contiene le linee guida su come svolgere gli interrogatori, perché questi possano essere considerati validi ai fini processuali;- il ruolo del testimone: il testimone cerca sempre di essere creduto e per fare ciò deve sforzarsi di essere preciso e quindi rinunciare alle sue incertezze. Così facendo, quello che non è chiaro viene corretto in modo che la deposizione risulti coerente e completa: il racconto dell’evento, una volta evocato con questi aggiustamenti, si consolida diventando e sostituendo inconsapevolmente ciò che si è percepito. A ciò si aggiungano la pressione psicologica proveniente dal contesto istituzionale, la motivazione a fornire informazioni utili e la tendenza a compiacere l’interrogante (effetto compliance), che a sua volta tende a spremere il soggetto ed a suggerirgli le risposte che confermino la sua ipotesi: la testimonianza diventa così un compromesso tra le richieste dell’interrogante e la rielaborazione dell’interrogato (Gulotta, 2000);- la memoria indotta: è un fenomeno che si realizza tipicamente quando si utilizzano identikit, foto segnaletiche e “confronto all’americana” (lineup), si parte dall’erroneo presupposto che l’osservatore sia comunque in grado di scegliere e riconoscere quanto ha percepito anche solo momentaneamente. Pertanto si “aiuta” il testimone a ricordare, lo si spinge a collaborare senza tener conto dell’ansia per le aspettative altrui che è insita in una situazione in cui bisogna dare una risposta e si è gli unici a poterla dare (Gulotta, 2000);- il contesto dell’interrogatorio e della confessione: una situazione di deprivazione sensoriale può aumentare la vulnerabilità e la dipendenza verso l’interrogante; è inoltre da considerare che trovandosi in un contesto estraneo di cui non conosce le regole, il soggetto può essere portato a parlare solo per soddisfare le esigenze dell’interrogante;- la comunicazione non verbale di chi conduce l’interrogatorio: il tono della voce, il movimento del capo, degli occhi, dei gesti, la postura, sono tutti elementi che possono giocare un ruolo fondamentale, soprattutto, quando si è chiamati ad effettuare dei riconoscimenti. Poiché meno facile da controllare, la comunicazione non verbale spesso lascia filtrare dei contenuti profondi che il linguaggio non fa emergere;- lo status di chi interroga: varie ricerche hanno dimostrato che si ottengono risultati diversi se ad interrogare è una persona importante e di status elevato piuttosto che una persona meno importante. L’autorità di chi interroga può avere un certo ruolo nell’influenzare i testimoni.”
Risulta quindi evidente che tra evento accaduto e testimonianza di questo esiste e si frappone un intermediario complesso rappresentato dalla memoria e dalle peculiarità di funzionamento di questa.
Insisto sul consiglio di porre l’attenzione proprio su queste modalità di funzionamento della memoria stessa che possono influenzare, alterare, modificare il ricordo stesso e quindi condizionare la trascrizione di questo attraverso la testimonianza.
In primis dobbiamo tener sempre presente il fatto che il ricordo è comunque la ricostruzione di un qualcosa e mai una sua fedele e totale riproduzione. Esso in altre parole non è una serie di fotografie o di immagini asettiche, ma è sempre il risultato di una ricostruzione personale, non è mai una registrazione passiva ed istantanea di esperienze vissute, ma si costruisce e continua a costruirsi dopo la fine degli eventi che l’hanno generata.
A questo punto mi permetto di aggiungere delle considerazioni personali che scaturiscono dalla mia esperienza trentennale di psichiatra clinico e psicoterapeuta, non a contatto con testimonianze di tipo giuridico, ma comunque con la rievocazione biografica, da parte dei pazienti, delle loro vicende personali, spesso molto complesse,
Pur in perfetta buona fede le persone tendono con il tempo a modificare il ricordo, ad aggiungere fatti nuovi e a dimenticarne altri, oppure a creare fatti mai realmente vissuti, pur nella convinzione di dire la verità.
Questo è un fenomeno che si verifica molto spesso quando lo stesso evento viene rievocato e raccontato più e più volte in successive narrazioni. Esso pur essendo il testimone in perfetta buona fede, viene arricchito di particolari che prima, nelle volte precedenti non erano stati riferiti.
Ciò avviene, in piccola parte perché quei particolari sono stati successivamente “ricordati”, ma per la maggior parte perché quei particolari sono stati aggiunti successivamente, in quanto coerenti e logici con il contenuto della narrazione.
Un altro elemento che induce ed introduce una forte soggettività nella rievocazione di un evento e quindi della testimonianza è rappresentato dal bagaglio culturale, dalla provenienza sociale, dagli interessi personali, dal mondo di valori stesso e dalla ideologia e fede di colui che racconta un evento e quindi in ultima analisi del testimone.
Questi fattori influiscono pesantemente ed in maniera determinante sia sulla percezione che memorizzazione dell’evento, in quanto noi sappiamo che se tutto viene, per così dire visto, solo alcune cose colpiscono la nostra attenzione e vengono memorizzate introducendosi in questo modo un primo elemento di soggettività nella percezione e memorizzazione stessa.
Un secondo e importante elemento di soggettività è rappresentato dalla rievocazione dell’evento nella narrazione, in quanto noi, sempre in perfetta buona fede, siamo portati a rievocare e quindi a fissare sempre meglio nella memoria, quegli eventi che meglio si accordano e concordano con il nostro mondo di valori, con la nostra ideologia, con la nostra personalità, con le nostre convinzioni personali, con le nostre stesse speranze ed aspettative.
Si tratta di un fenomeno che noi medici conosciamo bene e che spesso ci induce in errore se non ne conosciamo la esistenza e non ci salvaguardiamo da essa. Lo chiamiamo di percezione e rievocazione selettiva.
Un esempio: immaginiamo di visitare un paziente e se siamo dotati di una certa esperienza e di un certo intuito clinico, di formulare un abbozzo di diagnosi, a prima vista ed intuitivamente.
Se questo accade e non siamo consapevoli di tale fenomeno, saremo portati involontariamente a percepire, nel racconto del paziente, solo quegli elementi che confermerebbero la diagnosi intuita in precedenza, scotomizzando gli altri, ma addirittura e ciò è ancora più grave a “dimenticare” quegli elementi avversi alla nostra intuizione di diagnosi, “ricordando” solo quelli che sono a favore.
In questo consiste la percezione e rievocazione selettiva.
Naturalmente lo stesso fenomeno può verificarsi in non medici di fronte a qualsiasi evento della vita, di cui siamo stati protagonisti o testimoni e che poi venga rievocato e riferito.
Come psichiatra assisto quotidianamente a questo fenomeno quando i pazienti mi raccontano la loro biografia, la loro vita e anche involontariamente evocano e descrivono quei lati di se stessi e naturalmente quegli eventi che si accordano e sono coerenti con la immagine della loro persona che si sono costruita e che sostengono. Illuminante è stata per me la lettura e lo studio delle opere di Luigi Pirandello e in questo discorso specifico mirabile è l’acutezza raggiunta dall’Autore in “Vestire gli ignudi”.
Ma un altro fattore è molto importante e non deve assolutamente essere trascurato: il fattore emotivo.
Il testimone perfetto sarebbe colui il quale, privo di ogni elemento emotivo percepisse freddamente e solo razionalmente la realtà che lo circonda e gli episodi che avvenissero, li memorizzasse altrettanto freddamente e che obiettivamente e senza valenze emotive li rievocasse e li riferisse.
Per fortuna siamo esseri umani dotati, alcuni di più, altri di meno di una dose di emotività che influenza tutti e tre i momenti descritti, della percezione, della memorizzazione e soprattutto della rievocazione del ricordo.
In psichiatria e nella pratica professionale è ben evidente quanto la dolorosità di un ricordo sia influente nella sua, soprattutto, rievocazione e quanto la valenza emotiva dolorosa possa influenzare la persona nella obiettività del ricordo.
Un concetto prettamente psicoanalitico, ma che assolutamente non condivido, è quello della “rimozione” del ricordo quando esso è troppo doloroso.
Proprio come psichiatra ho quotidiana frequentazione con pazienti depressi e uno degli aspetti più dolorosi della malattia depressiva è caratterizzato proprio dal ricordo, nel senso che la depressione stessa con conseguente stato d’animo gravemente orientato in senso negativo, sembra che scelga malvagiamente nel bagaglio della memoria del paziente, solo quelli più tristi e dolorosi, sottoponendoglieli ossessivamente e nascondendo invece tutti i ricordi invece positivi che potrebbero fare da contraltare e compensazione.
A volte nella depressione si può addirittura arrivare al delirio mnestico, ossia avere il ricordo, falso e delirante di tremende azioni compiute e che naturalmente evocano e suscitano violentissimi sentimenti di colpa.
La citazione della depressione con la sua tragica variazione in senso negativo dell’umore responsabile di assoluta soggettività nei ricordi, mi porta, per analogia a dover considerare un altro elemento che invece non è stato a mio parere sufficientemente preso in considerazione nel discorso sulla memoria e questo è rappresentato dal tempo, in senso cronologico.
Se è vero che le nostre azioni, la nostra vita si esplica al presente nella dimensione dello spazio, le stesse nostre azioni e la nostra stessa vita al passato si esplica e si sviluppa nella dimensione del tempo e la memoria è il mentore, la guida di queste.
Senza la memoria che ci permette di viaggiare nel nostro tempo passato, la vita sarebbe vincolata e limitata, incarcerata in un eterno presente.
Purtuttavia la dimensione del tempo non è stata, a mio parere sufficientemente investigata, non in sé, ma per quanto essa influisca sul funzionamento della memoria.
Mi spiego meglio: noi sappiamo per esempio che nella senilità e nella Malattia di Alzheimer, caratterizzata in primis da disturbi e deficit della memoria, i primi ricordi ad essere perduti sono quelli più vicini nel tempo trascorso, mentre quelli più lontani e che risalgono addirittura alla giovinezza dell’anziano sono ben conservati e facilmente rievocabili, nonché gli ultimi ad essere distrutti.
Sappiamo inoltre che c’è un tempo minimo di esposizione ad uno stimolo, perché esso possa essere memorizzato, sappiamo anche che una esposizione per un tempo sempre maggiore ad uno stimolo, ne favorisce la fissazione nella memoria e quindi la rievocazione, sappiamo anche che una ripetuta rievocazione nel tempo, dello stesso ricordo ne favorisce la fissazione, anche se, come abbiamo visto in precedenza, ad ogni rievocazione successiva il ricordo si accresce di nuovi particolari non sempre veritieri, sappiamo anche che il trascorrere del tempo tra l’evento accaduto e la rievocazione di questo, favorisce l’oblio, ossia il naturale affievolirsi e la successiva scomparsa del ricordo.
Ma cosa avviene quando si tratta di collocare nel tempo trascorso un ricordo lontano?
Quell’evento è accaduto un anno fa, due anni fa, tre anni fa, o ancora più indietro?
Se si hanno precisi riferimenti cronologici, pietre miliari nel tempo che ci permettono di associare a questi l’evento che vogliamo precisamente collocare nel tempo passato, allora con un certo sforzo di rievocazione possiamo risalire alla posizione, nella nostra biografia dell’evento in questione (prima della morte di…prima della laurea di…dopo la nascita di…), ma se invece manchiamo di tali precisi riferimenti cronologici allora può risultare molto difficile collocare precisamente in un tempo trascorso un evento accaduto.
In questo caso però abbiamo fatto l’esempio di un evento puntiforme, circoscritto, isolato, unico, ma se l’evento invece cui facciamo riferimento e che cerchiamo di rievocare, si svolge lungo un continuo e lungo arco temporale, di anni ad esempio, possiamo immaginare figurativamente che il tempo che scorre e l’evento che in esso tempo si verifica, siano due binari paralleli che come tutti i binari decorrono parallelamente lungo tutta la linea ferroviaria.
Ma se per ipotesi uno dei due binari, proditoriamente, ad un certo punto e in uno scatto di autonomia decide di non essere più parallelo all’altro, ma compie una brusca variazione di percorso, allora da quel momento in poi i binari cesseranno di essere paralleli.
Lungo una continua linea ferroviaria in cui i binari per un lungo lungo tratto siano stati paralleli, sarò capace di identificare con assoluta precisione il momento esatto, il punto esatto in cui il binario ribelle ha deviato?
Analogamente e fuor di metafora, se un evento si è svolto sempre identico a se stesso, nel corso di un lungo tempo, di anni ad esempio e poi ad un punto si modifica ed assume connotati diversi, abbandonando il parallelismo col tempo, a distanza di anni e quindi con la rievocazione che mi è consentita dalla memoria, sarò in grado di collocare con precisione nel tempo il momento esatto in cui l’evento in questione ha cessato di essere come era stato per anni fino ad allora, assumendo delle caratteristiche differenti?
Sarò in grado di collocare con precisione nel tempo passato e con l’ausilio della memoria il momento esatto di questo cambiamento?
In altre parole se un ricordo è per così dire spalmato in un lungo trascorrere del tempo e subisce ad un certo momento una variazione, sarò in grado a posteriori, a distanza di anni con l’ausilio della memoria, di identificare con precisione il momento cronologico esatto in cui ha cessato di essere come era, divenendo altro da sé.
La mia esperienza personale mi dice di no.